Pincio regno dei vu' cumprà
Dicono da mesi: il Pincio tornerà presto, meglio di prima. Lo hanno annunciato a «Il Tempo» a inizio novembre, dopo il grido di dolore che da queste colonne si è levato per la terrazza più bella della Capitale che da tre anni non c'è più, inghiottita dallo scriteriato cantiere per il parcheggio voluto da Veltroni sindaco e bloccato da Alemanno e Croppi, appena insediati in Campidoglio. L'assessore all'Urbanistica, Corsini, prometteva che a fine 2009 sarebbe stato restituito alla città il piazzale dove tutti si sono affacciati, da D'Annunzio con le sue femmes fatales ai turisti e agli innamorati di tutto il mondo. Via il cantiere che ne aveva fatto terra di nessuno; via il buio che lo aveva trasformato in sfondo da Blade Runner; via la sporcizia, l'abbandono. E prefigurava panchine, aiuole, restauro dei busti in marmo, sistemazione di nuove e pregiate specie arboree, di svettanti palme. È arrivato il 2010 e niente, la riapertura del piazzale è stata rimandata fine gennaio, per perfezionare - argomentava l'assessore Corsini - la risistemazione dello spicchio più pregiato di Villa Borghese. Gennaio e febbraio sono passati, ma niente apertura. È vero, dieci giorni fa il ministro Bondi ha diffuso, nel sito ufficiale dei Beni Culturali, la foto del piazzale rimesso a nuovo, prendendosene il merito. Si illudevano le belle anime come davanti a un miraggio: ecco le colonnette in granito bianco a scandire lo spazio che piaceva al Valadier. Ecco la cornice patinata per i pini cari a Respighi; ecco, dalla terrazza, i tetti di Roma, il Cupolone, le chiese barocche. Siamo andati a vedere, emozionati per quello che le istituzioni ci hanno reso, con esborso di denaro pubblico in un periodo in cui ogni settore tira la cinghia. E abbiamo trovato il piazzale coi suoi bei colonnini, le panchine, i lampioni sì, ma recintato da una rete. Da un lato, poi, gli scavi non ancora ricoperti, la ruspa parcheggiata sul terreno rimosso. Ohibò, qui ci troviamo di fronte all'escamotage di veltroniana memoria, annunciare una, due, tre volte un'inaugurazione che non c'è. Ma quel che è peggio, e alimenta la rabbia, è il solito campionario di becerume, di corte dei miracoli, insopportabile in un Pincio che sbandierano rimesso a nuovo. Che messaggio danno i due camion bar che occupano con secchi e sedie rotte lo stretto marciapiede attorno alla terrazza, unico spazio praticabile? E i vu' cumprà con la paccottiglia sul lenzuolo steso proprio al centro dell'affaccio? Se poi lo sguardo dalla balaustra si abbassa alle rampe che scendono a Piazzale Flaminio, ecco negli anfratti cumuli di lattine e plastiche. Basterebbe una coppia di vigili urbani e qualche ordinanza di buon senso a diffondere il segnale che il Pincio è davvero rinato. Provvedimenti che non costano e che però darebbero tanto all'immagine, e al turismo, di quella che vorremmo caput mundi.