Idroscalo addio: via le baracche
La lunga giornata all'Idroscalo di Ostia inizia alle 7 sotto i peggiori auspici. Mentre il sole sorge i due fronti, forze dell'ordine e residenti, si studiano al di là delle barricate improvvisate di auto e cassonetti, posizionati all'entrata del rione sulle sponde del Tevere. Pochi minuti, quelli che separano la carica della polizia dal ritorno alla ragione, poi gli abitanti alzano le braccia in segno di resa. E l'inevitabile, storica operazione di sgombero comincia. La tensione però rimane altissima tra immagini dissonanti: fuochi accesi nelle strade, i bambini che piangono, i manganelli a portata di mano, le urla disperate di chi capisce di essere tra gli sfollati. Un esercito mai visto prima quello schierato dal Comune di Roma: 350 vigili urbani, 500 tra poliziotti in tenuta anti-sommossa, carabinieri, protezione civile, finanza, funzionari Acea, elicottero e motovedetta, la Forestale che più tardi si occuperà di un pitone rinvenuto in una baracca. La via di accesso al villaggio fondato negli anni '50 dai pescatori, dove poi sono sorte baracche più o meno abusive, è trasformata in un lungo serpentone di cellulari e gazzelle. Poi ci sono le ruspe, enormi, che alle 8.30, dopo estenuanti trattative con gli occupanti, iniziano il loro lavoro: abbattere la trentina di case individuate dall'ordinanza firmata dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, quelle a ridosso del mare e sempre a rischio ad ogni inondazione. E i container, una decina, che a fine giornata riempiranno la piazza del quartiere, dove saranno risposti mobili, bambole, pezzi di vita dei circa 90 sfollati. «I residence sono pronti ad accoglierli – spiega fogli con nomi alla mano Gianluca Vigiano, dirigente dell'assessorato capitolino alle Politiche Abitative – La maggior parte delle persone saranno accolte a Borgo del Poggio, via Ardeatina, alcune in via di Valle Porcina ad Acilia. Ma entro pochi mesi partirà il bando speciale per l'assegnazione di case popolari». Difficile però accettare il trasloco, per chi deve lasciare la casa dove ha vissuto per una vita. «Mi taglio le vene piuttosto che uscire» urlano, lacrime agli occhi, Marco Ferrandu, 40enne muratore, e la moglie Alessandra, con in braccio la piccola Elisa. «Perché non ci hanno avvisato, perché non ci hanno dato il tempo di fare i bagagli», chiede la vicina Roberta Viselli, impiegata all'aeroporto di Fiumicino. Alla fine tutti cedono e iniziano a caricare le macchine. «Spero che i prossimi interventi possano avvenire con un minimo di preavviso. Lavoreremo insieme al Comune per questo», interviene don Fabio, parroco di zona e rappresentante della comunità. Le demolizioni proseguono per tutto il giorno, tra le proteste degli abitanti. «Trattati come delinquenti, deportati, circondati su mare e terra», continuano a gridare. «Torneremo domani (oggi ndr) – spiega il coordinatore della task force, il Comandante VIII Gruppo della Municipale di Roma, Antonio Di Maggio – perché prima la ditta incaricata, la Baronci, deve trattare l'eternit presente nelle baracche. I 90 sfollati comunque sono già sistemati nei residence». Alle 19 il buio ferma tutto. Il fango ricopre ormai ogni cosa. L'Idroscalo è irriconoscibile. Il paesaggio è mutato. Da favela a cantiere.