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Il San Camillo si blinda dopo l'assalto

L'ospedale San Camillo

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Telecamere puntate sul pronto soccorso, badge con codici di accesso e un sistema di chiusura interno delle porte secondarie, perché sono entrate dagli ingressi sul retro le tre persone che all'alba dell'8 febbraio hanno aggredito quattro infermiere, picchiate e insultate per vendicarsi della lunga attesa al pronto soccorso. Dopo l'ultimo assalto al San Camillo Forlanini, una spedizione punitiva e non un atto teppistico, l'Azienda sanitaria preme sull'acceleratore della sicurezza. Affidando ad un sistema di videosorveglianza l'incolumità degli infermieri, contro i quali sempre più spesso i familiari dei malati scaricano la rabbia, quando si allungano i tempi per un posto letto.  «La cosa non è passata inosservata, il problema della sicurezza è serio, non si può aspettare che ci scappino le coltellate» dice Achille Lunghi, coordinatore Rsu. «L'azienda sta provvedendo a chiudere gli ingressi secondari dall'interno - dice - e anche al pronto soccorso si installerà la videosorveglianza come al cardiologico dove fino a poco tempo fa c'erano i barboni». Ma le aggressioni ai Nuovi padiglioni erano di altra natura. E per garantire la sicurezza è bastato sgomberare il dormitorio abusivo, chiudere gli ingressi e tenere aperto il portierato di notte. Ma al pronto soccorso è diverso, dicono gli infermieri. «Neanche con le telecamere e le porte chiuse da dentro potrebbe diventare un fortino» dice Tommaso Cedroni, delegato Rsu. E gli infermieri sanno bene che quando vengono minacciati o picchiati, non sono vittime di teppisti per caso ma della violenza che nasce da chi pensa di non avere un servizio sanitario adeguato. «La nostra sicurezza si garantisce soprattutto eliminando i tempi di attesa al pronto soccorso, rinforzando gli organici, acquistando barelle, elimando gli sprechi» continua Cedroni. «Sono un delegato sindacale ma sono anche un infermiere che lavora sui tre turni dal '96, conosco il pronto soccorso vecchia maniera quando le procedure non esistevano e il triage si faceva sul corridoio e le dinamiche clinico assistenziale, ma anche psicologiche del malato, e so che l'infermiere è responsabile dell'assistenza globale del paziente, e deve essere messo in condizione di lavorare, senza preoccuparsi delle problematiche esterne». Il pronto soccorso del San Camillo conta 80 mila accessi l'anno, che triplicano con i familiari dei malati. «E ci sono pazienti che arrivano in ambulanza da Viterbo e quelli che vengono qui dopo essere passati da altri ospedali» dice Angelo Longo, responsabile Gipse. «Ci saranno porte chiuse con codici di accesso e telecamere - dice Longo -, ma una vera sicurezza al pronto soccorso come in un ministero è impossibile, per la natura stessa del pronto soccorso». Per evitare code e contenere la rabbia degli utenti si punta a recuperare posti letto. «Spedendo il team del'accoglienza a verificare di persona dai primari il turn-over» spiega Longo. E diminuendo i tempi di attesa per le consulenze specialistiche. «Devono venire qui entro un'ora, per le urgenze ancora prima. Gli sono stati dati cellulari aziendali, mentre altri sono già in servizio sul posto. Mentre da dicembre, per limitare le file i codici bianchi sono accompagnati nei day hospital, dopo aver rilevato i parametri vitali». E ieri è arrivato l'allarme posti letto dell'Ordine dei medici: «senza letti, al pronto soccorso si muore prima d'entrare».

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