Il tesserino agli statali è un miraggio
«Mi scusi, lei si chiama?». L'impiegata allo sportello di accettazione dell'ambulatorio analisi dell'ospedale Idi (Istituto Dermopatico dell'Immacolata) ci guarda perplessa. Del resto ci ha dato l'informazione che volevamo ed è stata anche molto gentile, ma sembra non sapere nulla della riforma Brunetta e dell'obbligo scattato ieri per tutti i dipendenti pubblici di esporre un tesserino di riconoscimento con tanto di nome e cognome in forma estesa. Non ce l'ha attaccato alla camicetta che indossa e come lei nessuna delle quindici persone al lavoro dietro agli sportelli dell'ambulatorio. Le chiediamo se sa qualcosa di questa legge e molto candidamente ci risponde: «Non ne so nulla, non deve parlarne con me». La stessa scena si ripeterà in altri ospedali: Policlinico, Gemelli, San Camillo, Regina Margherita. Di tesserini, in realtà, ne vediamo tanti ma al collo o attaccati al camice di medici e infermieri, non degli altri dipendenti delle strutture sanitarie, siano addetti alle pulizie o altro personale di vario genere. Un'isola felice la troviamo all'ospedale di Tor Vergata dove chi lavora nei vari punti informativi dislocati ai piani della grande struttura il tesserino di riconoscimento lo espone, in gran parte, senza alcun problema. Un'eccezione, appunto, nella quasi totalità dell'anonimato tra i dipendenti pubblici. Non sanno nulla (o fingono di non sapere) di leggi e obbligo di cartellini anche nei vari istituti scolastici romani. Incrociamo insegnanti, personale addetto alla segreteria, bidelli e l'unica risposta che riceviamo da un professore dell'istituto Mamiani è: «Le pare che devo esporre un cartellino? E per fare cosa secondo lei? I miei alunni sanno benissimo chi sono». Quanto ai bidelli e ad altro personale che incontriamo nei corridoi e fuori dalle scuole, tra chi ci chiede gentilmente di allontanarci e chi ci suggerisce di rivolgerci un altro giorno al preside per questo genere di informazioni, ci sembra di capire che il tesserino di riconoscimento è vissuto come una vera e propria minaccia. Al Giulio Cesare troviamo una dipendente più gentile e disposta a spiegare (dietro anonimato) che «ne abbiamo sentito parlare, ma forse dovrebbe passare la prossima settimana quando magari avremo ricevuto più informazioni al riguardo». Reticenze? «Personalmente no, ma non tutti certo sono d'accordo con questa legge». Proseguiamo il viaggio tra gli uffici pubblici, anche se la maggior parte di sabato è chiuso: bisognerà aspettare domani per vedere se qualcuno, nel frattempo, si sarà adeguato al nuovo obbligo di legge. Intanto, però, facciamo una capatina nei Municipi capitolini e tra quelli aperti notiamo che non c'è neanche un dipendente che espone il tesserino di riconoscimento. Per vederne bisognerà andare alla Posta. Qui si entra nel campo del privato, ma è abbastanza emblematico che su cinque poste visitate soltanto in una (Baldo degli Ubaldi) il personale dietro agli sportelli è sprovvisto di cartellino con il nome esteso e il cognome puntato. Nelle altre quattro si sa sempre con chi si parla, a volte ci si arrabbia e si discute. Un esempio nei confronti di chi, invece, guarda al cartellino come ad una sorta di attentato alla propria privacy.