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Luci, ombre e silenzi della comunità romana

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UnGiano bifronte. Da un lato le numerose attività regolari e lecite, dall'altro quelle sotterrane e illegali, come la prostituzione, il gioco d'azzardo, la contraffazione, le estorsioni, l'esercizio abusivo della professione medica, lo sfruttamento in nero della mano d'opera che rasenta la riduzione in schiavitù. Il principio taoista dello yin e dello yang (chiaro e scuro, freddo e caldo, buono e cattivo nello stesso «insieme») rappresenta alla perfezione lo stato della comunità cinese capitolina. E se gli elogi rivolti ieri dal sindaco ai cinesi romani sono certamente meritati, è vero anche che la criminalità organizzata cinese gestisce gran parte del giro d'affari nel Belpaese. Particolarmente abili nell'inserirsi nel contesto economico-imprenditoriale della Capitale, la «cupola gialla» predilige l'insediamento nelle aree urbane ad alta industrializzazione per sviluppare attività spesso all'ombra delle grandi marche. L'altra faccia della medaglia, dunque, è scura come la notte. E bisogna tenerne conto senza scivolare in atteggiamenti xenofobi. «Mi unisco alla comunità cinese per i festeggiamenti del Capodanno. E rivolgo un xin nian hao! a tutto il popolo cinese - ha detto Gianni Alemanno - La comunità cinese della nostra città è numerosa, operosa e rappresenta un ponte nell'intrattenere rapporti con il grande Stato della Repubblica Cinese. In particolare, vorrei ricordare che quest'anno Shanghai ospiterà l'Expo l'Universale del 2010 e la presenza di Roma sarà in quest'occasione significativa e importante. Sempre più intensi sono gli scambi fra le nostre imprese, le nostre università e quelle cinesi e da questo rapporto sta nascendo una nuova consapevolezza delle nostre culture nel rispetto delle identità e delle regole comuni di convivenza sociale», ha concluso il sindaco ricordando «il generoso contributo» dei cinesi romani «per i terremotati dell'Abruzzo» e parlando di «rispetto reciproco». Tutto bene. Ma non si può neppure sottovalutare il «male» che serpeggia silenzioso fra i cinesi. E rischia di infettare la parte «buona» della comunità. Oltre ad omicidi, pestaggi e rapimenti, la mafia made in China gestisce a Roma un fiorente traffico di giovanissime «lucciole». Una volta confinata nell'ambito dell'etnia i provenienza, la prostituzione si sta estendendo agli occidentali e recentemente i carabinieri hanno scoperto al Casaletto una casa d'appuntamenti con ragazze fra i 16 e i 18 anni, mentre la Mobile ha rilevato che nella nostra città è in crescita il fenomeno di prostitute a basso costo, addirittura da cinque euro a prestazione. E all'Esquilino, la chinatown capitolina, il comitato di quartiere parla di un 90% di negozi illegali. Roma è lo snodo nevralgico dell'import-export di prodotti cinesi diretti a tutto il mercato europeo, tanto che nella sua Provincia 1255 aziende su 1.635 sono dedite al commercio (dati Caritas-Cciaa-Provincia di Roma). Ma è, nello stesso tempo, uno dei punti di riferimento fondamentali delle famigerate Triadi: nel 2005 la Dia scoprì che una società gestita da due «imprenditori» romani era il centro di smistamento per il riciclaggio del denaro sporco della mafia orientale. Loro, i nostri vicini venuti in gran parte dal poverissimo Zhejiang negano. O tacciono. D'altra parte, un celebre proverbio cinese recita: «Colui che sa non parla, colui che parla non sa».

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