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Contraffazione, dalla Cina al Gra

Una vetrina con i prodotti made in China

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Dalla Cina alle aree di servizio sul Grande raccordo anulare passando per l'Est europeo, con un segno di riconoscimento esposto sul parabrezza. È questa l'altra via Lattea dell'universo contraffatto, il percorso battuto regolarmente da carovane di Tir, prima carichi di clandestini per la tratta di esseri umani, oggi stracolmi di falsi d'autore e articoli scadenti venduti su marciapiedi e mercati di Roma. C'è di tutto: abbigliamento, borse, scarpe, giocattoli, alimenti, farmaci, cosmetici, software e chincaglieria varia. I depositi su Prenestina, Casilina e Tuscolana. È il grande business di mafia cinese e camorra, che le indagini hanno dimostrato come si sia imposta alla comunità orientale all'Esquilino (clan Giuliano). La rotta Cina-Gra l'hanno scoperta i finanzieri del Comando provinciale di Roma guidato dal generale Andrea Di Gennaro stando alle costole degli importatori cinesi. «È meno rischiosa e più sicura – spiega il generale - Romania, Ungheria e Bulgaria sono suolo dell'Unione europea, le merci, come le persone, possono circolare liberamente». Il grosso cliente, mafioso e cinese, è in contatto diretto coi signori del falso nella provincia sudorientale dello Zhejiang. Anche il 90 per cento degli orientali che sono in Italia (circa 10 mila a Roma secondo il dossier Caritas 2009) è in contatto con quella lontana provincia: vengono da lì. Spiega il tenente Luca Gelormino, che ha trascorso notti incollato alle ombre cinesi: il produttore prende l'ordine, lo passa all'esercito di braccia operose alla catena di montaggio. A cose fatte scatta la seconda parte del piano, l'aggancio con la società di trasporto in Europa. È il boss cinese a occuparsene, chi sta in Italia non sa e non vuole sapere niente di questa fase dell'operazione. Il fornitore cinese «chiama il suo uomo all'Est e l'avvisa che quel giorno alla tale ora arriverà il carico. Gli accordi per il pagamento – continua Gelormino – possono essere diversi: si stipulano contratti annuali per un certo numero di trasporti oppure si pagano di volta in volta usando i canali dei money transfert o mettendo il contante in tasca a un corriere messo su un aereo che salderà i conti di persona una volta arrivato a destinazione. Il trasportatore non conosce il materiale caricato. Per ingannare eventuali controlli, alcuni Tir che compongono la colonna portano merce regolare, mentre sugli altri gli articoli contraffatti sono stipati nella parte in fondo del container, lasciando avanti quelli con le carte a posto. Si superano i confini nordest della Penisola, si scivola verso Roma, si imbocca il Gran raccordo e si raggiunge il luogo dell'appuntamento. Meglio se di notte. Il conducente non sa una parola di cinese. Non serve che parli. Chi va a prenderlo lo riconoscerà attraverso un segno convenuto che il trasportatore ha ricevuto al momento della partenza e il destinatario ha saputo con messaggio sul telefonino o via Internet con una email. Si tratta di un cartello esposto sul parabrezza del camion. Sopra può esserci scritto un numero di telefono oppure sono riportati un simbolo o una lettera. A contatto avvenuto si riparte alla volta dei capannoni cinesi alla periferia est di Roma, a Centocelle e sulla Prenestina, nella famigerata via dell'Omo, dove il cliente "romano" preleverà la merce richiesta. Il commercio abusivo è servito.

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