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segue dalla prima Susanna Novelli Giorni contati, quindi, per il Casilino 900, il primo, storico campo rom della Capitale.

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Einvece, entro il mese di gennaio il Casilino 900 chiuderà. Per sempre. A confermarlo il prefetto Giuseppe Pecoraro che proprio ieri ha fatto un sopralluogo nel campo tra la Togliatti e Centocelle. «Sono venuto - ha detto Pecoraro - per rassicurare i rom che le loro richieste saranno accolte. Saranno divisi nei 4 campi di Salone, via Candoni, via dei Gordiani e Camping River, non per etnie ma per famiglie secondo loro richiesta. Saranno collocati in moduli abitativi, alle famiglie numerose ne saranno dati due. Se non ci saranno problemi, contiamo di svuotare il campo entro un mese». Parole che pesano, quelle del prefetto capitolino che, se da una parte "smorzano" gli umori della provincia, dall'altra accendono quelli dei territori interessati ad ospitare i 650 rom (250 sono bambini) del Casilino 900. Le polemiche sollevate dal consigliere provinciale del Pd, Carlo Lucherini, sul trasferimento a Castelnuovo di Porto, nella struttura sulla Tiberina ai confini con i comuni di Capena e Monterotondo di circa cento rom del Casilino 900 sono state "sedate" dal carattere temporaneo del trasferimento, confermato poi dal sindaco di Monterotondo, Mauro Alessandri. Mentre resta il grido d'allarme del presidente del XV Municipio, Giovanni Paris per l'ampliamento (non concordato) del campo di via Candoni. Polemiche e preoccupazioni che non fermeranno tuttavia l'attuazione del piano nomadi, fortemente voluto dall'amministrazione capitolina. Un piano che parte dal Casilino 900 e che, nel giro di un paio d'anni, «ridisegnerà» non solo la mappa fisica dei campi nomadi, prevedendone circa dieci, ma anche un diverso approccio nell'assistenza e nella partecipazione dei diversi gruppi etnici che vivono ormai stabilmente nella capitale. Campi attrezzati, innanzitutto, senza più baracche fatiscenti e privi di ogni elementare servizio sociale e sanitario, come bagni, fogne, pozzi, asfalto, luce. Campi che gli stessi rom contribuiranno a realizzare. Un passo importante questo, compiuto nel rispetto di una cultura, come quella nomade, che pur essendo ormai stabile non accetta soluzioni abitative «convenzionali» ma che, dall'altra parte, compie un passo in avanti per il rispetto delle basilari regole della convinvenza civile. Difficile però azzardare la parola «fine» sui campi rom, così come siamo abituati a vederli oggi. L'ultimo censimento conosciuto conta venticinque campi rom, seguiti dal Comune, per un numero di nomadi presenti che si aggira intorno alle seimila persone. E già ridurre questi a dieci sarebbe un'impresa titanica. C'è però il «popolo degli invisibili»: almeno diecimila nomadi che vivono in città, per lo più in insediamenti abusivi e spesso difficilmente individuabili e dunque non censiti o "censibili". Le zone più colpite quelle ovviamente della periferia. Non importa se sud, est, ovest o nord. Le presenze più massicce di insediamenti si registrano nei Municipi di «confine», come il V, il VII, l'VIII, X, XVI, XVIII, XIX e XX.

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