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Casino Torlonia, addio restauro

Il Casino Torlonia

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{{IMG_SX}}Fa male al cuore. Vedere nel parco regionale del Pineto, a fianco al bellissimo Palazzo Torlonia, detto Casale Giannotto, i ruderi abbandonati delle scuderie, è a dir poco assurdo. Eppure tal è. Mentre il primo è stato restaurato già da un paio d'anni dal Comune di Roma con un finanziamento di oltre un milione di euro, e destinato a Casa del Parco e a biblioteca, il secondo è stato messo in sicurezza con un'alta recinzione e poi abbandonato al suo destino, che, senza interventi, è inevitabilmente segnato da crolli.   La storia dell'edificio è stata travagliata: il celebre architetto Da Cortona nel costruire la sontuosissima villa di campagna di cui oggi restano interrati solo le fondamenta e delle bellissime stampe dello Specchi e del Vasi, non seppe valutare la natura del terreno che è sabbiosa d'origine marina e già nel 1675 grandi cedimenti strutturali avevano ridotto la villa e il Casino a una rovina. La villa fu abbandonata dalla famiglia Sacchetti fin dai primi anni del XVIII secolo e nel 1747 gli eredi diedero la proprietà della tenuta in enfiteusi a Giovanni Ceccarelli di Roma. Il Montesquieu, nel suo «Viaggio in Italia», scrisse dei resti della villa nel suo diario e giustificò l'abbandono con «l'aria cattiva proveniente da una valle sottostante». L'ultima ristrutturazione fu ordinata dai principi Torlonia, che acquistarono il Pineto Sacchetti nel 1860. Con il Casino fu recuperato anche il vicino Casale del Giannotto su cui furono impiantati gli stemmi della nobile famiglia, ancora oggi in loco. Una curiosità prima di chiudere. Secondo una tradizione orale, tramandata dai vecchi pastori residenti nella zona nei primi anni '60, cioè prima dello sviluppo residenziale dell'area, sull'unico balcone del Casale Giannotto che dà verso la Basilica di San Pietro, salì nella primavera del 1920 il vate Gabriele d'Annunzio, ospite di riguardo dei principi Torlonia. Diffusasi per il contado la voce della sua presenza, una nutrita folla di ammiratori si radunò sotto le finestre del Casale chiedendo con rumorosa enfasi al Poeta di affacciarsi per un saluto. Al d'Annunzio non restò altro che cedere alle richieste e, contagiato dall'entusiasmo della gente, prese a declamare dei suoi versi che portò in visibilio tutti i presenti.

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