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"Via Poma, quel giorno c'erano due persone"

Il criminal profiler Carmelo Lavorino

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L'assassino di Simonetta Cesaroni era mancino, non destro. E quel maledetto martedì di diciannove anni fa nell'appartamento dell'Aiag al terzo piano di via Poma c'erano due persone: un uomo, che ha materialmente ucciso la ragazza, e una donna, che ha parlato al telefono con Luigia Berrettini intorno alle 17,30. E quest'ultimo elemento spiegherebbe perché, anche se in base all'autopsia l'impiegata massacrata a coltellate il 7 agosto 1990 non sarebbe morta più tardi delle 16,30, una voce femminile rispose comunque un'ora più tardi alla Berrettini. Tesi suggestive contenute nel libro del criminologo e criminal profiler Carmelo Lavorino, che verrà ufficialmente presentato oggi nella Capitale dall'autore alla presenza degli avvocati Antonio De Vita, difensore di Pietrino Vanacore, Paolo Loria, che assiste Raniero Busco, Raniero Valle, padre e difensore di Federico Valle, e del giornalista di Mediaset Sandro Provvisionato. Ma qual è l'idea di Lavorino? Intanto i dubbi sull'orario. «Simonetta è stata uccisa prima delle 17, quindi tutte le ricostruzioni sinora fatte sono sballate: cambiano gli alibi, i sospettati e i sospettabili, i moventi e le situazioni. Inoltre, insisto nel dichiarare che l'assassino di Simonetta ha usato diverse volte la mano sinistra, sia con il violento colpo alla tempia destra, sia con l'arma bianca al collo, al ventre e all'inguine», spiega il criminologo. Secondo Lavorino, infatti, le due telefonate (17,15 e 17,30) fra Luigia Berrettini («che non conosceva la vittima»), e una donna non avrebbero avuto per protagonista Simonetta. Anche perché quest'ultima «conosceva già la password del computer e quindi non aveva motivi per fare quella chiamata». Berrettini, poi, telefona a un'altra impiegata, Anita Baldi, per ottenere la parola chiave. Per quale motivo, si chiede Lavorino, Simonetta non chiamò direttamente la Baldi, che, a differenza della Berrettini, conosceva di persona? «È in questo giro esasperato di telefonate - continua l'esperto - che si può individuare il groviglio di depistaggi messo su dalla combinazione criminale». Allora da chi è stata uccisa Simonetta? «Ritengo da una persona sola, che ha tentato un'opera sconclusionata di pulizia del sangue. Poi è intervenuta un'altra persona (o più di una) che ha organizzato un'opera di pulizia di sangue e impronte digitali e depistaggi vari, comprese le telefonate. E che infine ha disposto il top sul ventre della ragazza, un atto di pietas e di composizione della scena, certamente non attribuibile all'assassino». Sempre per Lavorino, il movente dell'omicidio sarebbe una «totale perdita del controllo provocata da un comportamento della vittima che l'assassino ha ritenuto così offensivo e provocatorio da far scattare in lui una rabbia distruttiva e spingerlo a colpire la ragazza con uno schiaffone violentissimo e, poi, con 29 pugnalate, distruggendo così la bellezza, la vita, la maternità e la sessualità di Simonetta. Una ferocia durata almeno cinque minuti». Un quadro in cui non trova posto l'imputato Raniero Busco che, secondo il criminologo, «non aveva quelle caratteristiche di conoscenza, di capacità, di opportunità e di complicità che invece l'assassino possiede». Un «mostro» che «conosceva il lavoro di Simonetta, sapeva quali dati e in che modo dovevano essere inseriti nel computer. E aveva legami con l'Aiag che invece Busco non possedeva».

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