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La recente elezione dei capigruppo del Pd alla Camera e al Senato ha messo alla prova la capacità del nuovo gruppo dirigente di superare le diffidenze accumulate nel corso delle primarie.

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segreto!- si è manifestato un dissenso più accentuato del previsto. Non siamo, in altri termini, nell'ambito di una fisiologica espressione di disagio. A fare da detonatore, giorni fa, è stata l'intervista di Veltroni. La disponibilità dell'ex segretario a concorrere all'unità del partito è stata accompagnata infatti da un forte richiamo alla necessità di «non tornare indietro». È proprio questo il problema. Le prime uscite di Bersani hanno fatto perno sulla esigenza di assorbire il veleno di una polemica, dai toni persino ultimativi, tra vecchia e nuova politica. Tuttavia la manovra sugli organigrammi non è sufficiente o non è sufficientemente chiara. Dopo l'uscita di Rutelli, tutto si è fatto meno che aprire un vero dibattito politico. A riguardo i popolari non hanno nascosto né l'errore della scelta compiuta, né all'inverso la superficialità con la quale si è proceduto alla sua immediata liquidazione. Se la risposta della segreteria è limitarsi a salutare chi se ne va e a sbandierare l'ingresso degli «oriundi» (Folena e altri), si trasmette alla pubblica opinione l'idea di un partito che scivola dolcemente a sinistra. Pas d'ennemis à gauche: se questa è la logica dominante, allora questa è l'effettiva rottura dello schema originario del Pd. Le astensioni non sono il prodotto di una sola motivazione, men che meno di un disegno limpido e coerente. Tuttavia nel magma indistinto si coglie anche l'umore di un «partito del nuovo riformismo» che avverte l'incombenza di un tradizionale «partito dei lavoratori», palesemente in bilico tra modernariato socialdemocratico e laicismo programmatico. Per questo minimizzare il messaggio che viene dai Gruppi è un modo come un altro di vivere o subire la penuria di idee sul futuro del partito. Siamo in difficoltà perché le primarie ci restituiscono l'opacità del nostro destino. Sappiamo di essere decisivi nel quadro della democrazia dell'alternanza, ma non sappiamo cosa saremo di preciso domani o dopodomani nella inarrestabile evenienza del post-berlusconismo. Purtroppo le idee non si formano nel turbinio di qualcosa che assomigli al caos creativo: in politica è più facile che si resti nel caos, semplicemente, senza idee e senza creatività. È tempo di capire che in questo partito-rete bisogna attivare un motore di ricerca, altrimenti ci si perde nella confusione o negli origami burocratici. Bersani, al tempo stesso, è molto forte e molto debole. Per ora fa finta di non saperlo. Di fronte alla esigenza di un ripensamento strategico sul destino del Pd non basta enfatizzare la lezione delle primarie, ignorando la persistenza di delicati problemi politici. *Senatore e membro della Direzione nazionale del Partito democratico

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