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Suicida per esami mai dati

La sede Luiss in viale Romania (Foto Gmt)

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Il ragazzo che martedì si è tolto la vita alla stazione Tiburtina gettandosi sotto un treno era uno studente universitario che aveva paura di deludere i familiari perché gli esami, che diceva di aver superato, non erano mai stati sostenuti. Il 25enne di Ascoli Piceno fingeva di non trovare ostacoli nella carriera universitaria e raccontava di essere ormai vicino alla laurea, ma con il passare del tempo la lista degli esami sostenuti cresceva solo a parole mentre sul libretto universitario troppe caselle rimanevano vuote. Per lui sarebbe stato troppo doloroso e umiliante fare marcia indietro. Non aveva il coraggio di ammettere che in realtà a dividerlo dal traguardo c'erano ancora circa 20 esami. A casa ormai già si fantasticava su quel giorno, sui festeggiamenti e i regali per il «dottore» laureato alla Luiss, mentre dentro di lui cresceva lo sconforto non vedendo più vie d'uscita. Per questo, martedì mattina, ha aspettato che la metro entrasse nella stazione Tiburtina e si è lanciato nel vuoto credendo che per sé, e forse anche per la sua famiglia, sarebbe stato meglio così. Sul caso dello studente suicida è intervenuta anche l'università Luiss Guido Carli, che frequentava. «L'università si rivolgerà al garante della privacy per trovare una formula che consenta di comunicare direttamente con le famiglie nel caso di studenti maggiorenni con situazioni universitarie critiche». Lo ha dichiarato il preside della facoltà di Giurisprudenza Roberto Pessi. «Conoscevamo la situazione del ragazzo, - ha ammesso Pessi - per 6 o 8 volte era stato contattato dal nostro servizio «Luiss ti ascoltà fatto da psicologi e funzionari. L'ultimo colloquio si è svolto lo scorso settembre, anche in quel caso il ragazzo aveva promesso che avrebbe ripreso a sostenere gli esami». Un caso «critico» quello del venticinquenne di Ascoli Piceno, come lo ha definito il preside della Facoltà, quello di un studente che non riesce a sostenere gli esami universitari. «Essendo maggiorenne, - ha spiegato Pessi - per un problema di privacy non si possono contattare le famiglie e il ragazzo, da quanto abbiamo potuto constatare, aveva tutto l'interesse a tenere nascosta la sua situazione alla famiglia».

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