Rinascente, l'orgoglio e la mobilità
Rinascente. Ma i dipendenti che lavorano nello storico palazzo di via del Corso muoiono di paura e di incertezza. Di mobilità, non vogliono neanche parlare. Paura e orgoglio. Basta digitare su Google "via del Corso 189", per aver un assaggio di ciò che significa, per loro, lavorare in quel posto. Cliccate sul video realizzato da una lavoratrice. Sulle note del brano di De Gregori, La storia siamo noi - scelta musicale non casuale - si susseguono le immagini di una Rinascente, dai primi scatti in bianco e nero d'inizio '900 fino ai colorati interni di oggi. Un modo come un altro per ricordare la fine, purtroppo inevitabile, di un simbolo. Il 24 dicembre la sede di via del Corso chiuderà dopo 115 anni di attività per trasferirsi poco più in là, in via del Tritone, nell'ex galleria Ina, e per lo spostamento ci vorranno un paio d'anni buoni. Dal giorno di Natale, per una cinquantina di dipendenti, scatta la mobilità. E allora la prima domanda che si fanno è: «Ma è possibile che un'azienda così grande, così prestigiosa, non riesca a trovare un modo più dignitoso per trasportare i lavoratori nella nuova sede senza passare per la mobilità?». A parlare in nome dei suoi colleghi è Antonella Roberti, sindacalista Uil, che non lesina critiche alla società: «Del resto a Napoli hanno chiuso due sedi da un giorno all'altro senza tanti complimenti». E qui? «La notizia della mobilità è giunta come un fulmine a ciel sereno. L'azienda aveva addirittura assicurato che i dipendenti che non potevano essere mandati via con i pre-pensionamenti sarebbero stati dislocati per il tempo necessario alla realizzazione della nuova sede negli altri negozi, compreso Jam, che fa parte del Gruppo e si trova nella Galleria Sordi. Poi, giorni fa, quando siamo andati all'incontro con i cittadini, nel corso del quale è stato presentato l'ultimo progetto, i vertici hanno dato tutt'altra versione». Perché ultimo progetto. Da quanto va avanti questa storia? «Dell'idea di trasferire la sede in via del Tritone si parla dal 2006. Nel 2007 ci furono i primi incontri con il Comune di Roma per avviare l'accordo di programma». L'unica strada possibile, ma è lunga. «In questa vicenda tutto è troppo lungo. Noi dipendenti attendiamo da marzo un incontro con l'assessore al Commercio Bordoni. L'appuntamento è stato fissato solo oggi (ieri, ndr), per il 3 novembre, mentre il 4 incontreremo l'azienda». Cosa vi aspettate dal Comune? «Intanto sapere a che punto è l'accordo di programma, e se il cambio di Giunta in Regione, che deve esprimersi sul progetto, allunghi ulteriormente i tempi, a cui è appeso il nostro futuro. E poi vorremmo che il Campidoglio, che ha permesso all'azienda di fare quest'affare, chiedesse di posticipare l'entrata di Zara (che si trasferirà in via del Corso 189, ndr) fino a quando non sarà pronta la sede del Tritone». Se Zara subentrasse subito, si potrebbe pensare di essere assunti dalla nuova società. Del resto vende vestiti, mica mortadelle? «Per noi sarebbe una strada percorribile». Cosa chiederete invece all'azienda? «Intanto vorremmo sapere a che punto siamo in via del Tritone, visto che la struttura non è stata ancora liberata dai negozi sulla strada. Ci sono troppi interrogativi, e il rischio che tra burocrazia e lavori si vada troppo oltre è alto. Non possiamo rischiare. Se ci fossero date sicure almeno per l'inizio dei lavori, sono convinta che un accordo sindacale giusto per il tempo della ristrutturazione della galleria, si possa trovare». E il video su internet? «Parla chiaro. Racconta l'orgoglio di lavorare in questa fantastica sede».