Caro estinto, ti scrivo l'ultima bugia
«Non c'è niente di più bugiardo di una lapide. Si dice così, non è vero?». E di frasi fatte, epigrafi e preghiere apposte sul marmo, Giuliano Stella, uno degli incisori storici di piazzale del Verano, ne ha viste tante nel corso degli anni. Alcune ironiche, altre commoventi, altre ancora «palesemente false». Specchio, anche questo, del carattere dei romani. «Oggi a me, domani a te»: recitava un diffuso epitaffio latino. Un'ironia che, girovagando per il cimitero monumentale di Roma, o per quello più moderno di Prima Porta, si può ritrovare ancora oggi su qualche lapide. Proprio a pochi metri dall'ingresso principale dell'antico camposanto alle spalle del quartiere San Lorenzo, è inciso su una tomba, a futura memoria, il monito: «Ciò che siamo sarete, ciò che siete fummo». Ricorda invece la carriera di uno tra i più grandi mattatori italiani, Vittorio Gassmann, la frase: «Non fu mai impallato!» e l'appellativo «Attore» incisi accanto alla sua foto. Anche Gianfranco Funari, espressione televisiva della romanità più verace, ha voluto lasciare sulla sua tomba, custodita però a Milano, una frase che sdrammatizzasse la sua scomparsa: «Ha smesso di fumare». Vizi e virtù di vip e persone comuni. Immortalati su un pezzo di marmo reso meno freddo da quegli appellativi familiari. Come i soprannomi: «Capitava soprattutto in passato – spiega Maurizio Biondi, marmista – che accanto al nome di battesimo figurasse l'appellativo con cui i defunti erano conosciuti in vita. A fianco di Luigi "Gigetto", per esempio, o addirittura è venuto fuori "Er braciola", "Er pagnotta": perché così in quel quartiere quella persona era conosciuta». Non solo. «C'è stato un cambiamento nel corso del tempo – continua – Fino a 50 anni fa era quasi un obbligo riportare il titolo di studio: medico, avvocato, professore. Anche perché erano pochi i laureati dell'epoca. Oggi non è più così: per trovare un po' di vanto, se così si può dire, ci fanno scrivere "pittore", "musicista", "poeta" e così via». E, perché no?, tifoso. Se c'è una passione che accompagna i romani nella vita come nella morte, quella è il calcio: facile trovare allora, incastonati nel marmo, gli scudetti della Roma e della Lazio. Rivali in vita, qualche ultrà si è perfino ritrovato vicino di tomba. Nel cimitero di Prima Porta sono pochi i sonetti o le frasi commemorative come quelli che risaltano nella parte più storica del Verano (del tipo: «Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna» di Ugo Foscolo). Una vedova romanticamente ha scritto: «Non ti vedrò più davanti a me. Sentirò soltanto la tua forza a sostegno. Vorrei il tuo braccio caldo e nudo per abbracciarlo di nuovo». Per chi non è mai stato puntuale in vita, gli amici hanno fatto incidere: «Questo non è uno dei tuoi soliti ritardi. Ma noi ti aspetteremo lo stesso per sempre».