"Noi, pompieri nell'inferno siciliano"
Anche i vigli del fuoco di Roma sono nell'inferno di fango nel Messinese. Sono parititi in dodici, dai distaccamenti Tuscolano II, Nomentano e La Rustica. Da quest'ultima sede, quando la notte del 6 aprile la terra d'Abruzzo, nell'Aquilano, tremò fino alla morte, una squadra partì di volata trovandosi tra i primi soccoritori sul posto. I loro familiari - genitori o mogli - li hanno saluti per telefono, senza dire troppe parole ma una frase che forse le racchiude tutte: «State attenti». Per il disatro che ha ingoiato persone e cose nella punta occidentale dell'isola siciliana, l'allarme per i dodici è scattato alle 12 del 2, e giovedì all'una di notte gli uomini del Comando provinciale di Roma sono entrati nel cimitero di Giampilieri. «Quando siamo giunti - racconta Giampaolo, 44 anni, caposquadra del Tuscolano II - c'era solo disperazione. Il fiume di fango aveva raggiunto l'altezza dei segnali stradali». E hanno cominciato a spalare acqua e terra, massi e calcinacci, per cercare sopravvissuti, corpi e cose da recuperare. Giampaolo è stato anche anche nelle terre terremotate d'Abruzzo. «Una cosa mi ha colpito - confessa - Dopo il sisma c'è la speranza di recuperare qualcosa - oggetti, ricordi - ma un disastro del genere ingoia tutto». I mezzi al seguito: defender con motopompa, un Act 90 carico di palanche, carriole, chiodi e tutto quello che serve per mettere su un cantiere. Poi un camper e un Combi con idrovora: un super aspiratutto con polmoni di acciaio in grado di risucchiare fiumi, di acqua, fango o sostanza acida. Ma i dodici con loro hanno anche altro. Ogni giorno il Comando compone due liste di servizio: una per le emergenze su Roma, l'altra per la colonna mobile, ovvero l'unità che deve muoversi nei casi gravi e urgenti che possono verificarsi in altre parti d'Italia e richiedono rinforzi. Quindi, quando un vigile del fuoco entra nel suo distaccamento di lavoro, porta con sé non solo il necessario di giornata, ma anche uno zaino per le partenze improvvise. Dentro ci sono capi di abbigliamento per il cambio, casco, stivaloni, cinturoni, piccozza, i cosiddetti dispositivi individuali di protezione e il nomex (il giubbotto lungo). A questo piccolo inventario della sopravvivenza però qualcuno aggiunge la cosa che spera lo protegga in altro modo e grazie a un'altra forza che non si usura, non si rompe e sa di soprannaturale. Il caposquadra Giacomo non lascia mai l'orecchino della figlia: lo stringe nel palmo della mano dal giorno in cui la piccola finì in ospedale sotto i ferri e i medici uscirono dalla sala operatoria dicendogli che purtroppo non ce l'aveva fatta. Ora è lui che con quell'orecchino deve farcela a sopravvivere. Anche il suo collega Antonio si è portato dietro il portafortuna del figlio che lo aspetta a casa: è un braccialetto. Tra una decina di giorni ci sasrà il cambio: loro a Roma, e altrettanti dalla Capitale nei luoghi del distrato a fare gli «agneli custodi».