Kabbalah al San Camillo
San Camillo, reparto di terapia intensiva. Quando il sole è già calato, una ragazza bruna dall’accento argentino raggiunge la sala d’attesa. Il suo uomo è lì, seduto in un angolo, con l’animo rivolto verso il cielo nella speranza che suo figlio riesca a farcela. La giovane, passo svelto e il fiatone così forte da sentirlo lungo il corridoio, si ferma davanti a lui. «Mi hanno chiamata da Tel Aviv, devo darle questo piccolo libricino. È una breve edizione dello Zohar, il testo essenza della Kabbalah. Sono preghiere per la salute di suo figlio». San Camillo, chirurgia d’urgenza. All’ora di pranzo si aprono le visite al pubblico. Chi va e chi viene. Tra i corridoi si parla poco e niente. Dalla stanza numero dodici, un anziano e malato signore sposta la flebo a bordo letto e si siede. Apre un cassetto e ne estrae un piccolo libro di nove centimetri per sette, scritto in aramaico. Sul dorso blu una frase: sefer ha-Zohar, il libro dello Zohar. San Camillo, tra le corsie della chirurgia d’urgenza un uomo attende il suo turno per visitare un parente. Si sa, in stanza più di due persone alla volta non possono stare. È ben vestito, scarpe leggermente opache, segno di una mattinata intensa di lavoro in giro per la Capitale. Gioca freneticamente col cellulare. «Mi scusi posso farle un regalo?», chiede una signora sulla quarantina con il crocifisso, d’improvviso, come fosse un’apparizione. «Certo», risponde mentre lei s’infila in una stanza e ne riesce con un volume di preghiere in miniatura nella mano. Di nuovo lo Zohar, l’opera più importante della Kabbalah. Queste, possono sembrare le prime pagine di un racconto misterioso, un thriller in stile Dan Brown a metà tra religione e storia millenaria. Ma è pura realtà. Al San Camillo, uno degli ospedali più importanti di Roma, sono state distribuite alcune copie di un libricino blu scritto in aramaico. Sono alcune parti dello Zohar (spina dorsale del pensiero cabalistico) che narrano la storia di Abramo e in cui sono inserite preghiere per i malati, a tutela della salute della persona. Chi lo distribuisce parla di «potenza della protezione spirituale», di «uno strumento pratico di potere senza precedenti», di una combinazione di lettere che «può avviare un cambiamento positivo nella vita di chi legge». Le ragazze e i ragazzi che arrivano negli ospedali di tutto il mondo, per aiutare con la forza di questo libricino chi soffre, hanno studiato Kabbalah con il rabbino Berg e i suoi discepoli al Kabballah Centre di Tel Aviv, o di Los Angeles, o di Londra, o di Vienna. Phillip Berg è il più importante studioso ebreo cabalista del mondo. È conosciuto per la sua concezione riformista, che gli ha creato non poche polemiche con la comunità ebraica ortodossa. La Kabbalah è un bene di tutti. E i suoi insegnamenti non devono essere a disposizioni di pochi eletti, ma alla portata di chiunque. È la sua filosofia. Deve essere un patrimonio condiviso di saggezza. Il rabbino ha raccolto, negli anni e nelle sedi del Kabbalah Centre sparse per il globo, nuovi alunni. Non solo ebrei, ma anche ex atei e cristiani. Insegnamenti e studenti si sono moltiplicati per diffondere a catena il messaggio della Kabbalah e dalla sua forza spirituale, «della possibilità di essere strumenti di Luce», come dicono. Succede così che tra i loro studi proprio l’importanza dello Zohar, e del compendio a protezione della salute, li porta in soccorso di chi ha bisogno di pregare in momenti difficili. Spesso sono chiamati dai loro maestri, dai rabbini di Tel Aviv o Los Angeles, e avvertiti che un malato ha bisogno di aiuto, di una preghiera. Si presentano, quasi fossero una mistica apparazione, davanti ai parenti sofferenti con un libretto blu in mano. E senza chiedere, regalano lo Zohar. O almeno la speranza che lassù, da qualche parte, qualcuno ascolti una preghiera.