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«Colpito l'asse coi boss di Pechino»

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Ilprocuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, fa il punto delle indagine cul clan camorristico a nella Capitale e le connessioni con la mafia cinese radicata all'Esquilino. «Nel 2007-2008 - spiega - con l'operazione "Grande muraglia" (di cui i sequestri di oggi rappresentano una prosecuzione, ndr) erano stati assicurate alla giustizia diverse persone. I 150 milioni di cui parliamo oggi - aggiunge - sono una parte dei proventi del malaffare, frutto dei legami tra organizzazioni criminali, risultate perdenti della guerra di camorra e la mafia cinese. Poi ci sono rapporti tipici degli accordi criminali che si instaurano nella capitale, dove non ci si fa la guerra e ci si divide il mercato. I proventi frutto del contrabbando, e delle contraffazioni, hanno ormai raggiunto se non superato quelle degli stupefacenti. La criminalità a scoperto la praticabilità di questo nuovo redditizio business e si è organizzata, vedendo che vi potevano derivare grossi profitti. Nel Lazio vi è una forte allarme criminalità che è giustificato ma che non va esasperato». Secondo la ricostruzione della Dia, persa l'egemonia nel rione Forcella, il clan Giuliano (il capo Salvatore è in carcere dal 2000) ha spostato i suoi interessi nel basso Lazio fino a Roma, nella Chinatown. Con la mala cinese i termini sono stati chiari: commercializzate la merce contraffatta che noi importiamo oppure vi facciamo la guerra, e voi siete i più deboli.

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