«Guido libero? Questa non è giustizia»

Sulsuo volto il marchio di «mostro» impresso per i fatti di quel 30 settembre 1975 lo renderà ancora riconoscibile. Agli occhi dei familiari delle vittime e a quelli di alcuni residenti del quartiere Trieste, dove fino a martedì aveva l'obbligo di dimora. Gianni Guido ha saldato il suo debito con la giustizia. All'età di 19 anni, insieme ad Angelo Izzo e Andrea Ghira, seviziò fino alla morte Rosaria Lopez e ridusse in fin di vita Donatella Colasanti. Ora è un uomo di 53 anni, libero di non comunicare i suoi spostamenti e di non far rientro nella casa color ocra dei suoi genitori che era diventata la sua prigione. «Il problema è che in Italia abbiamo una memoria corta - ammonisce Paola, 45 anni, che abita qualche civico più in là dal numero 4 di via Capodistria - Se avessi avuto qualche anno in più avrei potuto rischiare la stessa fine di quelle donne: siamo vicini di casa, frequento il Circeo e Punta Rossa». Concorda l'amica: «Sarebbe da rivedere tutto il sistema giudiziario. Non si può tornare libero dopo pochi anni». Da un portone di via Corsica, il proseguimento di via Capodistria, esce Anna: «Sono allibita - sentenzia - Chi uccide deve pagare con l'ergastolo». «Non so se in Francia o in Germania l'avrebbero permesso»; e c'è chi non si pronuncia: «Non commento». Ma anche chi lo assolve: «I genitori sono partiti per le vacanze agli inizi di agosto - dice il marito della portinaia dello stabile - Lo vedevo tornare solo a casa la sera ed è sempre stato educato». «È giusto che anche lui si rifaccia una vita», riferisce un vicino. «Ha pagato il suo debito», commenta un altro portiere.