A Kabul finché servirà agli afghani
Siamo in Afghanistan per una giusta causa: perché si tratta di una questione di sicurezza esistenziale, che riguarda tutti noi, la popolazione afgana e il mondo intero. L'11 settembre 2001 abbiamo tristemente scoperto che il terrorismo internazionale può colpire obiettivi innocenti ovunque nel mondo e in qualunque momento approfittando, per pianificare le proprie azioni, dei contesti istituzionali deboli o non consolidati in questo o quel Paese. Per questo motivo abbiamo tutti l'interesse affinché l'Afghanistan diventi un Paese stabile e sicuro. Per questo motivo le ragioni della continuazione della nostra missione in Afghanistan non possono essere messe in discussione. Le domande da porsi sono semmai due. La prima riguarda la strategia per raggiungere il nostro obiettivo e cioé la stabilizzazione dell'Afghanistan. La seconda riguarda i tempi della nostra permanenza in quel Paese. Le nostre risposte a queste due domande sono chiare e e nette. La nostra strategia di stabilizzazione è oggi solidamente basata su tre principi: un approccio «globale», il pieno coinvolgimento degli Afgani e la cooperazione regionale. Un approccio globale significa che la stabilità non può essere raggiunta attraverso i soli mezzi militari. Dobbiamo rendere funzionanti le istituzioni civili e creare benessere per la popolazione, sviluppando l'economia legale come alternativa valida alla produzione e al traffico di droga. Quando le circostanze lo permetteranno dovremo far sì che un maggior numero di afgani sia coinvolto nei processi politici, anche quanti, appartenenti ora a gruppi talebani, possano essere inclusi, se disarmati e rispettosi della Costituzione, in un processo di riconciliazione politica. Il pieno coinvolgimento degli afgani significa che il futuro dell'Afghanistan deve essere riposto nelle mani degli stessi Afgani. Lo sforzo della comunità internazionale è perciò teso a dar loro gli strumenti per rendere sicuro e governabile l'Afganistan. Per questo motivo le prossime elezioni presidenziali del 20 agosto - le prime gestite dagli Afgani - rappresenteranno un test importante per valutare la maturità della democrazia afgana. È fondamentale che queste elezioni siano credibili innanzitutto agli occhi della stessa popolazione. L'Italia ha deciso di inviare un ulteriore contingente di 500 uomini (oltre ai 2800 già presenti nella regione di Herat) per aiutare a garantire le condizioni di sicurezza durante il periodo elettorale. Coinvolgere gli afgani significa anche accelerare l'addestramento delle forze di sicurezza per permettere loro di contrastare i gruppi di insorgenti. Per questo obiettivo l'Italia metterà a disposizione nei prossimi mesi ulteriori carabinieri oltre a quelli già presenti. Infine, non si può raggiungere l'obiettivo di pacificare l'Afghanistan senza un pieno e attivo coinvolgimento dei Paesi della regione. Per questo, a Trieste, durante la Ministeriale Esteri del G8, abbiamo dato il via a un processo di rafforzamento della cooperazione regionale in molte aree di importanza strategica per la stabilizzazione dell'Afghanistan, come la gestione delle frontiere, il contrasto al traffico degli stupefacenti e lo sviluppo economico e sociale. L'Italia ritiene cruciale il ruolo dei Paesi confinanti, soprattutto quello dell'India, del Pakistan, dei Paesi dell'Asia centrale e dell'Iran, che condivide con noi l'interesse nel consolidare un Afghanistan stabile, rispettoso dei diritti delle minoranze e non afflitto dalle attività destabilizzanti dei narco-trafficanti. L'Iran è già positivamente impegnato con Afghanistan e Pakistan in una cooperazione triangolare nella lotta al traffico di droga, nel contesto di un Centro delle Nazioni Unite (Unodc), con sede a Teheran e creato proprio a questo scopo. Perciò il nostro invito all'Iran affinché partecipi al processo di stabilizzazione regionale, rimane tuttora valido. È chiaro che i "cento giorni" successivi alle elezioni presidenziali afgane saranno cruciali affinché la nostra strategia abbia successo. Ci sarà bisogno, durante tutto questo periodo, di raggiungere risultati concreti per legittimare le nuove istituzioni democraticamente elette. Fino a quando rimarremo in Afghanistan? Insieme ai nostri alleati siamo stati estremamente chiari: non intendiamo restare "sine die". Una presenza a tempo indefinito trasformerebbe la nostra missione in un'occupazione. Il nostro obiettivo è lasciare il Paese non appena gli afgani e le loro Istituzioni saranno in grado di gestire il Paese da soli. Ovviamente, prima avverrà meglio sarà per tutti. La pace sostenibile in Afghanistan è, in definitiva, la nostra "exit strategy".