"Tutti sapevano della mafia"
«Qui a via Veneto siamo come in un piccolo paese. Di questa storia se ne parlava da un po' di tempo in giro: solo voci, per carità, ma era una cosa che ci aspettavamo da un giorno all'altro». Su che tipo di sospetti circolassero intorno al «Café de Paris» le giornalaie della via della Dolce Vita non vogliono dire di più. «Sappiamo solo che è stata cambiata più volte gestione, l'ultima forse 5 anni fa. E i nuovi proprietari, una famiglia di calabresi, hanno ammodernato il locale facendogli perdere tutto quello che aveva di bello negli anni '60. Ora sembra un bar di stazione». È un pezzo pregiato della Dolce Vita quello sequestrato ieri dai carabinieri del Ros e dalla Finanza su disposizione della procura di Reggio Calabria: sarebbe la 'Ndrangheta secondo i magistrati a gestire questo come gli altri beni e immobili della Capitale sotto inchiesta, per un valore complessivo di 200 milioni di euro. «Il bar ha aperto la sua attività – ha dichiarato alle 10 di ieri mattina il vice direttore Marcello Scofano – Ci scusiamo solo con i clienti per le due ore di ritardo e per questa "pubblicità"». All'ora di pranzo, mentre all'interno del locale e tra i tavoli i camerieri servivano i pochi turisti, la cassiera non ha voluto aggiungere nulla: «Lasciateci almeno respirare – ha detto – i proprietari sono tutti in riunione e non intendono rilasciare alcuna dichiarazione». A due passi dal Café, in via Sicilia, porte chiuse per un altro locale: il ristorante «George's». Fuori all'ora di pranzo il menù indicava ancora i piatti consigliati dallo chef, mentre all'interno gli investigatori esaminavano le carte e i bilanci della gestione. Pieno di clienti, invece, il «Bar California», in via Bissolati, anche questo secondo l'inchiesta in odore di 'Ndrangheta. «Non sappiamo nulla – ha negato il cassiere, un uomo sui 30 anni dal forte accento calabrese – Noi siamo solo dipendenti. Non abbiamo alcun legame con i proprietari».