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S'indaga sulle aggressioni dal '97 con lo stesso "modus operandi"

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Partono dall'anno successivo a quello della prima aggressione per la quale l'impiegato laureando in Giurisprudenza è finito nei guai. La prima volta, a Tor Carbone, il 28 maggio di tredici anni fa, lui era un diciannovenne che non aveva mai dato cenno delle sue ossessioni. Quel giorno bussò alla vicina del piano di sotto, 49 anni, madre di un bambino di 10, e le disse di guardare se per caso fosse caduta una maglietta. Lei gli girò le spalle per andare in balcone e lui le saltò addosso tentando di piantarle un coltello in pancia. La donna evitò il colpo con le mani, si ferì, il figlioletto corse in cucina afferrando Bianchini per i capelli tirandoglieli forte. Fu così che quel bambino diventò un piccolo eroe e Luca Bianchini uno stupratore al suo primo tentativo. Quando fu portato all'ospedale Pertini per essere sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio e a visita psichiatrica, Bianchini fu descritto dai medici come lo stesso insospettabile di oggi: «Un ragazzo minuto, timido, con i capelli corti e gli occhiali, apparentemente il classico ragazzo di buona famiglia, che non sembrerebbe capace di far del male a nessuno». Un anno dopo, il 14 settembre 1997, il Gip lo ha prosciolto sulla base di una perizia medico-legale d'ufficio che ha ritenuto Bianchini incapace di intendere e di volere al momento del fatto. Il contabile stupratore è finito in cura al Centro di igiene mentale, è stato curato, poi ha ricominciato a incarnare le sue ossessioni. Col passar del tempo ha cambiato modus operandi, ha modificato il suo schema violento. Ha cominciato a indossare il passamontagna, a usare nastro adesivo grigio per immobilizzare, coltello o pistola giocattolo per minacciare le sue vittime. La canna dell'arma da fuoco l'avvolgeva col nastro scuro per evitare che si vedesse il tappo rosso. Gli uomini di Vittorio Rizzi hanno ripescato dall'archivio tutti i casi di stupro e tentata violenza in cui l'aggressore ha usato quegli strumenti violenti. Passo dopo passo ne hanno contati dodici (a parte i tre casi di Bufalotta e Tor Carbone). Sempre lo stesso il luogo prescelto: garage e parcheggi. Rileggendo i racconti delle vittime, caso dopo caso si vede che Bianchini ha affinato la sua tecnica: per bloccare le mani usava il nastro, poi le fascette in plastica. Alla donne diceva: «Dammi la macchina, dammi le chiavi». Non portava il cellulare, fuggiva al minimo intoppo, sapeva come bloccare le cellule fotoelettriche degli ingressi ai garage. Si era iscritto all'università, studiava Legge e i libri di criminologia che descrivono come funziona la mente di uno come lui. Il passamontagna invece non è mai cambiato. Forse Bianchini si è ispirato ai film del genere "snuff movies" che la Mobile ha trovato nella sua casa di Cinecittà, tra i libri di Giurisprudenza: «Stupri gallery», «La violenza dei gatti», «Violentata sulla sabbia», «La belva con il mitra» e «Realmente stuprate», dvd che in copertina mostra proprio un uomo col passamontagna che aggredisce la sua preda. Nella mente di Bianchini è affiorato anche il tentativo di liberarsi della sua ombra. Una lotta con se stesso impressa nella frase che ripeteva durante la violenza: «Stai calma, stai tranquilla, non ti farò niente». Una lotta che lui stesso ha scritto sui biglietti e sul suo diario: «Vorrei non avere più impulsi e tornare a vivere».

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