Proietti: «Voglio tornare in tv»
Non ha voglia di polemiche, pur lamentando la scarsità di progetti da parte del teatro pubblico, e preferisce augurarsi un futuro in linea con il piacere di esprimersi in tutta libertà, persino in televisione. Che legame ha con il suo mestiere? «Odio lo scherzo, ma amo il gioco. Mi piace scegliere contesti che mi permettano di divertirmi e sentirmi a mio agio. Mi tiro fuori dalle situazioni in cui non avverto la naturalezza e la positività della mia presenza». Cosa prova nel tornare al Sistina? «È una rentrée romana che si carica di forti significati con un home coming, ovvero un ritorno a casa, che sognavo da tempo. Ho lavorato tanto al Sistina, anche con Garinei & Giovannini, e mi era rimasto nel cuore con i suoi riti, le sue abitudini, i suoi camerini. Mi sento come quando torni in un'abitazione in cui hai vissuto e ritrovi tutti gli oggetti più cari che però ti sembrano più piccoli di come ricordavi». Qual è il segreto del successo di questo spettacolo? «C'è il desiderio di raccontare la storia dei classici teatri italiani, ricostruendo i criteri del varietà, senza finalità archeologiche o filologiche. Mi cimento addirittura con l'atto unico di Eduardo De Filippo «Pericolosamente» ed entrare nella tradizione teatrale partenopea, per cui ho sempre avuto grande ammirazione, è stata una sfida ripagata dal pubblico napoletano, nonostante i miei iniziali timori. A differenza di tanti eventi in cui ero solitario, qui siamo sette attori, con tanto di balletto e orchestra. Ho accanto pure le mie due figlie Susanna e Carlotta. Sono rimasto davvero sconcertato dall'accoglienza, al di là di aspettative e speranze, ricevuta nella tournée al Nord: ho avuto un plauso incredibile a Milano e nel Veneto, a dispetto di ogni pregiudizio contro i romani». C'è un viatico che ha consegnato alle sue figlie, ormai quasi colleghe? «Coniugare il piacere del teatro con la professionalità. Non le ho indirizzate verso il palcoscenico e spesso consiglio loro di coltivare interessi diversi. Sarà giusto che affrontino esperienze future anche senza di me». Come prospetta l'avvenire del teatro? «Al di là delle provocazioni sui finanziamenti pubblici, vorrei che il teatro non privato avesse una progettualità precisa e interessante, non limitandosi a pescare spettacoli qua e là. Per quanto mi riguarda, alla fine di giugno prevedo l'apertura della nuova stagione del Silvano Toti Globe Theatre, di cui sono direttore artistico, mentre ho rinunciato alla consulenza per il Teatro di Roma: non abbiamo trovato linee in comune». Non le manca l'insegnamento dopo aver formato intere generazioni di attori che lavorano con ottimi risultati? «È la mia passione da sempre. Sto tentando tutte le strade possibili, ma non intendo più gestire laboratori nei sottoscala. Istituire corsi seri comporta una serie di spese superiori a quanto si possa immaginare che nessuno ha il coraggio di sobbarcarsi». La televisione rientra ancora nei suoi obiettivi? «Per ora sono quello delle repliche: mi mandano in onda a tutte le ore, ma in realtà non la frequento da molto. Se mi permettessero di giocare con un bel programma accetterei: forse sarebbe il momento di provarci, dato che dalla Rai sono scappati tutti!».