Statue parlanti, restauri per la «voce» dei romani
{{IMG_SX}}A pochi giorni dal Natale di Roma, prende via un progetto di restauro delle «statue parlanti», curato dall'Associazione abitanti centro storico di intesa con la sovrintendenza del Comune. Ieri il primo cantiere a piazza Vidoni per il recupero e la conservazione dell'Abate Luigi, poi sarà la volta di Pasquino, Madama Lucrezia e il Facchino. Il progetto dell'Associazione, che sosterrà la spesa di circa 70 mila euro tramite finanziamenti pubblici (Regione Lazio e Provincia di Roma) e privati. L'intento, fa sapere l'Associazione, è stimolare nei cittadini il rispetto per l'immenso patrimonio culturale della città. E di questo patrimonio fanno parte anche queste particolari sculture. Le statue parlanti sono per lo più di epoca romana che fin dal XV secolo diventarono l'umore e la voce del malcontento dei romani. Un punto di vista delle cose e del mondo espresso in satira, per denunciare il malcostume, le prepotenze e le ingiustizie dei potenti di turno con cartelli affissi al collo delle statue in modo che tutti leggessero. Le pene per l'anonimo «satirico epigrammatico» erano severissime, eppure questi «megafoni» popolari sono andati avanti per secoli. Tra le statue parlanti la più nota è quella del Pasquino, collocata nel 1501 nella piazza omonima dal cardinale Oliviero Carafa a ridosso del proprio palazzo. Il torso di figura maschile è probabilmente appartenente al gruppo marmoreo Menelao col corpo di Patroclo della prima età ellenistica (III secolo a.C.). La notorietà delle satire a lui attribuite è tale che da allora viene definita «pasquinata» ogni presa in giro del potere costituito. Quanto all'origine del nome di Pasquino le storie si fondono con le leggende. Secondo alcuni il nome Pasquino deriva da un sarto noto per non avere peli sulla lingua, un'altra vuole che Pasquino fosse un oste con la bottega nei pressi, altri ancora ritengono che Pasquino sarebbe stato un mediocre letterato, e che a dare alla statua il suo nome, sarebbero stati gli allievi per prenderlo in giro. Ma tant'è la fama del busto che ancora oggi qualche volantino compare ogni tanto, quasi a ricordare che di «pasquinate» c'è sempre bisogno. Invece l'Abate Luigi, la prima delle quattro statue ad essere restaurate, fu rinvenuta nel corso di scavi vicino la chiesa di Sant'Andrea della Valle. Per alcuni è la statua di un console romano ma per il popolo fu subito l'Abate Luigi perché ricordava la figura di un frate, mentre altri ritengono che il nome sia stato preso in prestito da quello del sagrestano della vicina chiesa del Santo Sudario. Per Madama Lucrezia è tutt'altra storia: il busto, in piazza San Marco, proveniente dal Tempio di Iside, rappresenterebbe l'imperatrice Faustina. Per i romani è Madama Lucrezia, amante del re di Napoli Alfonso D'Aragona che alla morte del sovrano, tornò a Roma dove morì dimenticata. Come statua parlante Madama Lucrezia non fu molto loquace. Diventò memorabile durante i tumulti del 1798 quando il busto rovinò a pancia in giù e qualcuno il giorno dopo affisse il cartello «Non ne posso più». Infine il Facchino in via Lata, una fontanella raffigurante un facchino nel costume cinquecentesco dell'Università degli Acquaioli. Anche qui, sulla sua identità, ci sono più ipotesi. Potrebbe essere Abondio Rizzo, facchino nella vita e grande bevitore di vino nelle osterie della zona dove trascorreva i «tempi morti». Ironia della sorte, il facchino Abondio, morì mentre trasportava due barili di vino. Scolpita intorno al 1590, su disegno di Jacopino del Conte, fu collocata sulla facciata di palazzo De Carolis, in via del Corso e spostata nella collocazione attuale nel 1874. Il quartetto di statue parlanti si completa con quelle del Babuino e di Marforio, la prima scultura è distesa sopra la fontana alla quale dà il nome, l'altra fu spostata dal Foro presso il Palazzo Nuovo in Campidoglio. Dove si trova ancora oggi.