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Botte e abusi in diretta telefonica Arrestato il marito

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Senon avesse lasciato per errore la cornetta del telefono fuori posto il suo incubo non sarebbe ancora finito e il marito non sarebbe finito in galera con l'accusa di lesioni, violenza sessuale e resistenza a pubblico ufficiale. Sabato invece il "diavolo" ci ha messo lo zampino. La signora, 47 anni, romana, residente a Centocelle, madre di un figlio di 16, domestica a ore, chiama il 113 per la solita ragione: il marito, 43 anni, napoletano, disoccupato, da diciotto anni le toglie i soldi e li spende giocando, bevendo, costringendo la donna ad arrangiarsi come può per trovare qualcosa per il figlio e per sé da mettere sotto i denti: quando il primogenito era piccolo addirittura è stata costretta a rubare gli omogeinizzati. Sabato, quando torna a casa, per la donna sono botte e violenza. Lei, esausta, il pomeriggio chiama la polizia. All'operatore della sala operativa al telefono dice qualche sillaba, poi ci ripensa, la paura di suo marito la paralizza così vuole agganciare. Ma non si accorge della cornetta fuori posto e la linea rimane aperta. Il poliziotto continua a sentire. Ascolta le urla di lui e il pianto di lei, le minacce e le implorazioni. Manda una volante. Sul posto arrivano gli agenti del commissariato Prenestino, diretto da Antonio Franco. Saliti in casa trovano la casa a soqquadro, come dopo una lite: la donna ha dei tagli sul petto, lividi su naso e zigomi e tracce di sangue ai lati della bocca. I poliziotti capiscono, lei sbotta in un pianto liberatorio, il figlio sedicenne conferma. Poco dopo l'uomo, che stava schiacciando un pisolino, si alza inferocito, vede gli agenti e si avventa anche contro di loro. L'aggressione però non riesce: i poliziotti lo bloccano e lo portano in commissariato. La donna invece viene trasportata al policlinico Casilino dove i sanitari le prescrivono 25 giorni di prognosi. La querela contro il marito sono nove pagine di terrore, abusi, violenze sessuali, e anche di torture: l'uomo riempiva la vasca d'acqua e le immergeva la testa, tenendola giù fino a quando lei non avesse finito l'ultimo grammo d'aria nei polmoni. Poi la tirava su e ricominciava. Ora che si è liberata di un incubo la donna ne vive un altro: il marito è in galera, lei non ha più un lavoro e la casa è in affitto. Fab. Dic.

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