«La sfida del Lazio contro le mafie»

«Per troppo tempo si è nascosta la testa sotto la sabbia, per troppo tempo ho sentito ripetere che la camorra e la mafia non erano problemi del Lazio. Smettiamola, la criminalità organizzata riguarda tutti e si combatte unendoci e non isolando le realtà più a rischio». Il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, non smette di ripeterlo: la legalità s'intreccia alla cultura della vita e s'esprime nella lotta alle mafie. Per questo ieri ha accompagnato i ragazzi del liceo politecnico Salvemini di Latina e dello Scientifico Voltaire di Ciampino a Casal di Principe, Caserta, per partecipare al corteo in ricordo di Don Peppe Diana, il sacerdote ucciso 15 anni fa dalla camorra. «Ho intorno a me tanti giovani, gli striscioni, i cori. Vedere tutto questo mi convince che possiamo battere la camorra - dice con entusiasmo - È davvero un bellissimo momento di incontro fra ragazzi». Presidente Marrazzo, c'è il rischio di infiltrazioni mafiose nel Lazio? «Sì, e anche grave. Da noi la criminalità organizzata si muove soprattutto puntando sul riciclaggio e sull'usura». Quali sono le zone più esposte? «Certo il sud del Lazio. Già in passato molti camorristi della Campania utilizzavano alcune aree del nostro territorio come Formia e Gaeta. Ma infiltrazioni ci sono anche a Roma, dove abbiamo scoperto tanti esercizi commerciali comprati e gestiti da organizzazioni criminali. Comunque tengo a precisare che la nostra regione ha il primato per i beni confiscati». Come si possono combattere le organizzazioni criminali? «Unendoci, non lasciando solo nessuno. La camorra, la mafia, la 'ndrangheta si battono soltanto in questo modo perché ti colpiscono quando sei isolato. Oggi abbiamo lanciato un ponte per difendere i valori della legalità e della vita, cioé lo spirito di Don Diana, che era quello di una testimonianza di amore». Lei ha creato la Settimana della Legalità, con dibattiti, mostre e tanti appuntamenti. C'è un aspetto anche personale nel suo impegno? Suo padre, giornalista della Rai, è stato condannato a morte dalla mafia... «Ma l'ha beffata perché è morto prima. C'è molto di personale nel mio impegno. A Casal di Principe per la prima volta ci sono stato proprio con mio padre, poi ci sono tornato da giornalista. Ora essere qui come presidente della Regione Lazio e averci portato i ragazzi delle nostre scuole è una soddisfazione davvero grande. Gli studenti che ho intorno a me vogliono recuperare l'identità di casalesi, un nome troppo spesso legato al clan. Credo davvero che sia una questione nazionale e che, insieme, possiamo farcela».