"Max s'è rovinato la vita"

I buttafuori dell'Alibi non li avevano fatti rientrare. Massimiliano e Mirko erano usciti per andare a comprare la birra. E con le bottiglie in mano si sono ripresentati all'ingresso della discoteca di Testaccio. Ma gli addetti alla sicurezza li hanno visti ubriachi e li hanno mandati via. Così i due ex compagni di scuola, rincontratisi dopo anni venerdì notte all'Alibi, sono saliti in auto per tornare a casa, in zona Marconi. Ma Massimiliano ha sbagliato strada, ha imboccato lungotevere dove ha travolto Irene Morabito, 21 anni, poi lo schianto sul semaforo di ponte Mazzini, e di nuovo via. «Che scemo, s'è rovinato la vita» commenta sconsolato il fratello Giorgio, 21 anni. Massimiliano era il suo eroe, il fratellone che studiava, prossimo alla laurea, tra un mese avrebbe discusso la tesi in architettura. E invece tutto all'aria per la sbornia di una notte. E, passata la sbronza, la messinscena della denuncia per furto e l'auto bruciata, un'aggravante. È così che un ragazzo perbene, almeno fino a pochi giorni fa, dall'altra notte è in carcere per lesioni gravissime, omissione di soccorso, inquinamento delle prove e simulazione di reato. Mentre il ragazzo che era con lui, con precendenti per piccoli reati, è stato denunciato per omissione di soccorso in concorso. L'hanno cercato e trovato l'altra notte i poliziotti del commissariato San Paolo citofonando ai condomini in zona piazzale della Radio, civico per civico, mentre un'altra squadra controllava gli archivi dell'Itc Darwin. La prima notte a Regina Coeli è passata. Forse da oggi, se il fermo di Massimiliano sarà convalidato in arresto come ha chiesto il pm De Cecilia al gip, ne seguiranno altre. E la famiglia di Massimiliano è distrutta. Almeno quanto lo è l'altra famiglia, quella di Irene Morabito, che dall'alba di sabato lotta tra la vita e la morte al San Camillo. Piange la mamma di Massimiliano, Paola M., impiegata comunale in uno dei municipi più famosi. «Sono appena tornata a casa - racconta, e sono le quattro e mezzo del pomeriggio - sono stravolta, ho fatto tanti giri in tribunale e a Regina Coeli, che non avevo mai visto». Che dolore. «Penso a mio marito (impiegato comunale in pensione, ndr) e agli altri due figli, alla nostra famiglia. Ma anche a quella di Irene». E Paola lo sa cosa significhi. «Quel ragazzo che lei ha visto il pomeriggio in cui è stato fermato Massimiliano - dice riferendosi a Giorgio - quando aveva 5 anni è stato colpito da una malattia che lasciava poche speranze: so cosa vuol dire stare al capezzale di un figlio senza avere la certezza di poter sperare». Ma cosa si prova ad essere il familiare di un ragazzo che improvvisamente mostra un volto che non conoscevi, lo aveva spiegato l'altro ieri pomeriggio l'aria smarrita di Giorgio, coetaneo della ragazza investita, che con fiducia ci aveva aperto la porta di di casa, al pianterreno di un bel palazzo in cortina, a pochi metri dal commissariato San Paolo, dove Massimiliano confessava. «Credo che ognuno abbia il suo dolore da metabolizzare e comunque non ho niente contro di loro come qualsiasi persona minimamente normale» commenta il papà di Irene, Tony Morabito. «Quel ragazzo era ubriaco quando ha investito mia figlia ma è grave anche quel che ha fatto da sobrio. E lo è stato anche il gesto dei medi della mano alzati in segno di sfida, l'altra sera all'uscita dal commissariato».