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Sulle regionali l'impronta di uno scarpone

Daniele Di Mario
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L'unica certezza, ad oggi, si chiama Nicola Zingaretti. E neanche tanto. Potrà sembrare banale, ma in fin dei conti è così. Il presidente del Lazio non solo è stato ricandidato alla guida del Lazio dalla direzione regionale del Pd, ma, nell'accettare, ha dettato le proprie condizioni politiche. La nuova legge elettorale regionale che domani notte dovrebbe essere licenziata dalla Pisana ne è la plastica rappresentazione. Dal punto di vista dell'architettura politica Zingaretti, nell'indicare logicamente come architrave il Pd, ha indicato una via: stop alla frammentazione e ai simboli scomodo. L'idea di una soglia di sbarramento piuttosto alta per gli standard regionali che incentivi le aggregazioni più ampie (sostanzialmente, una lista di sinistra e una di moderati al fianco del Pd) ha l'obiettivo di superare le difficoltà nazionali di coalizione. Cioè nascondere il simbolo di Alfano e della Lorenzin mettendo i loro candidati nell'anonimato della lista moderata e fare altrettanto con Mdp sul versante sinistro. Soglie di sbarramento e mantenimento del listino bloccato (semmai ridotto a 6 o a 5 con tutte le incognite del caso riferite alla rappresentanza delle province, ma non abolito) sono funzionali al progetto zingarettiano. L'idea complessiva, però, è che si fatichi a trovare un accordo tra la maggioranza di centrosinistra e l'opposizione di centrodestra, con i grillini sull'Aventino. Il centrosinistra infatti perde pezzi: i rappresentanti dei partiti "piccoli" a votare una legge elettorale che consegna il loro destino a nelle mani del governatore uscente e del suo più fedele alleato - il vicepresidente Smeriglio - non ci pensano proprio. E anche il centrodestra al suo interno è diviso. Gli oltre 900 subemendamenti testimoniano un quadro balcanizzato. C'è chi vuole sostituire il quoziente corretto con il D'Hont per favorire le coalizioni anziché i partiti e le province più grandi; chi invece difende il principio opposto. Non mancano i fautori del listino a 5 anziché a 6 e quanti nella porzione di premio di maggioranza su scala proporzionale vuole introdurre norme premiali per le province più piccole. Difficoltà tecniche che nascondono questioni eminentemente politiche. Il tutto contro tutti alla Pisana è una conseguenza delle spaccature del centrosinistra e delle incertezze nel centrodestra. Senza un candidato presidente in campo e senza quindi un piano di volo (quante liste oltre a FI e FdI? che architettura dare alla coalizione?) pensare di votare una legge elettorale regionale con ampi dubbi di incostituzionalità è impensabile. Sarebbe stato meglio, almeno per il centrodestra, non forzare la mano e rimandare tutto a dopo il voto siciliano, così da avere presente lo scenario nazionale e il punto di caduta laziale. Così on è stato. Anzi. E, a ben vedere, l'unico dibattito politico nel centrodestra è diventato lo stucchevole tormentone su Sergio Pirozzi, che fa più male che bene. L'impronta dello scarpone sulle regionali, indipendentemente da che si candidi o no.

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