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Zingaretti si tiene il Porcellinum

Daniele Di Mario
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L'appuntamento era fissato per oggi alle 14. La prima Commissione del Consiglio regionale, che si occupa di affari istituzionali, è tornata a riunirsi con all'ordine del giorno sempre e solo la nuova legge elettorale in vista delle elezioni del prossimo anno. Una riforma, però, che difficilmente andrà in porto. Perché, tra la melina della maggioranza e le fratture interne al Pd, gli elettori del Lazio la prossima primavera torneranno alle urne con il listino bloccato, quello che ormai viene definito nei corridoi della Pisana lo «Zingarellum» o «Porcellinum di Zingaretti». Il copyright è di Daniele Sabatini, capogruppo di Cuoritialiani, che attacca duramente il governatore del Lazio reo di voler lasciare in vita una legge elettorale per motivi elettorali e di essersi rimangiato la parola data ai cittadini laziali. In campagna elettorale, cinque anni fa, l'attuale presidente della Regione promise l'abolizione dell'odioso listino bloccato, un premio di maggioranza di 10 consiglieri scelti dal candidato presidente ed eletti direttamente in caso di vittoria. Ma, ora che bisogna cambiare la legge elettorale per introdurre la doppia preferenza di genere come prevede la legge nazionale, la maggioranza di centrosinistra in Consiglio regionale, irrimediabilmente spaccata, fa melina. Il disegno di legge varato dalla commissione Riforme guidata da Mario Abbruzzese (FI) è fermo da mesi in prima commissione. Pd lacerato: i renziani vorrebbero abolire il listino - come peraltro previsto dalla bozza licenziata all'unanimità dalla commissione speciale per le riforme - gli zingarettiani no, spalleggiati da una frangia minoritaria del centrodestra. Stallo totale. Intanto si prende tempo e si decide di ascoltare i professori universitari come chiesto da Manzella, consigliere consigliere zingarettiano (eletto nel listino). Intanto in commissione Affari istituzionali è bagarre, con ripetute accuse al Pd, reo secondo le opposizioni di voler solo perdere tempo. Oggi la commissione è tornata a riunirsi, ma sull'esito è meglio non farsi illusioni. L'ultima carta che resta al centrodestra è chiedere in conferenza dei capigruppo di portare in Aula la bozza di legge elettorale approvata all'unanimità dalla commissione Riforme. Una strada impervia con un esito peraltro tutt'altro che scontato, ma che almeno smarcherebbe politicamente l'opposizione e inchioderebbe la maggioranza alle proprie responsabilità. In caso contrario lo stallo - col conseguente commissariamento - è dietro l'angolo. La parità di genere, infatti, non può essere introdotta con un decreto del presidente di Regione. Serve una legge, ma vararla in queste condizioni è praticamente impossibile. La maggioranza intanto continua a prendere tempo in attesa di dipanare la matassa tra un governatore che non vuole più cancellare il listino e il suo partito, ormai diviso e in preda a una crisi di nervi. Nel frattempo, nessuno - almeno ufficialmente - ha sentito il bisogno di sentire i segretari dei partiti (le regole del gioco, in fin dei conti, si scrivono insieme) e i tecnici in materia elettorale del ministero dell'Interno. Altro segno che il listino non si vuole abolire. Anche per motivi politici, come ha avuto modo di osservare recentemente Donato Robilotta. La data del voto, infatti, la decide il presidente di Regione e a Zingaretti non conviene modificare la legge elettorale, in modo da poter evitare l'election day e tenersi le mani libere: tenere in piedi una coalizione di sinistra ormai archiviata da Renzi o decidere di anticipare le elezioni regionali (tra il 28 gennaio e il 25 febbraio) rispetto alle politiche e, in caso di sconfitta, lavorare all'exit strategy in Parlamento. Una via, questa, piuttosto impervia: dal Quirinale al Viminale, infatti, l'election day viene dato praticamente per scontato. Con lo Zingarellum.

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