
La manifestazione M5s è tritolo per la coalizione

Quell'evento del 5 aprile che rischia di spacchettare il campo largo
Cerchiamo di essere precisi, perché è importante. Quindi partiamo dalle parole di Giuseppe Conte, il protagonista della manifestazione di ieri a Roma contro i piani europei d’investimento nella Difesa. Dice l’ex premier: «Da questa piazza arriva un messaggio forte e chiaro: non vogliamo un piano di riarmo da 800 miliardi, vogliamo un percorso di pace che veda l'Europa protagonista. Abbiamo bisogno di investire sul lavoro perché abbiamo i salari più poveri d'Europa. No a questa follia. Sono contento che le forze di centrosinistra siano tutte qui. Stiamo piantando un pilastro solido e fermo per costruire una alternativa di governo».
Queste parole (esattamente queste, non una di più, non una di meno) sono il gigantesco problema che ora si riversa sul Pd, sul suo gruppo dirigente, sulla segretaria Elly Schlein. E perché mai, visto che la delegazione guidata da Francesco Boccia è stata accolta con assoluto rispetto dai dirigenti del movimento e, più in generale, dall’insieme dei manifestanti? È presto detto: quanto più il M5S si consolida in chiave ostile ai progetti in tema di Difesa Europea di Ursula von der Leyen, tanto più il Pd va in sofferenza, perché quei progetti sono apertamente appoggiati dal Partito Socialista Europeo, da gran parte della delegazione italiana a Strasburgo e dalla maggioranza del gruppo dirigente italiano, che (non a caso) aveva scelto Bonaccini nel voto degli organismi territoriali. Ma non è finita, perché la piazza di ieri presenta altri due problemi per Schlein e la sua squadra. Il primo sono i fischi di alcuni manifestanti sul tema Israele: anche qui l’ala riformista del Pd va in forte sofferenza, perché la saldatura con la nebulosa filopalestinese mette persone come Picierno, Guerini, Quartapelle (ma anche Gentiloni, Franceschini, Bonaccini e Giorgio Gori) in forte imbarazzo. Certo,
Netanyahu non gode di buona fama nel Pd, ma quando si finisce per risultare funzionali (perché questo è l’effetto finale, pur non volendolo) ad Hamas, ecco che la scelta diventa obbligata: appoggiare Gerusalemme. E poi c’è il fatto evidente dell’ulteriore strappo al centro, dove Calenda spara a palle incatenate contro il movimento che replica con lo slogan ieri usato in piazza: «Meloni, Calenda, una stessa agenda». Ora, non c’è bisogno di scomodare Giovanni Sartori per capire che in queste condizioni l’efficacia della manifestazione voluta da Conte (che, peraltro, da premier ha alzato la spesa militare nazionale, gesto che va a suo indiscutibile merito: è adesso che sbaglia) diventa tritolo per una coalizione ancora tutta da costruire, poiché la saldatura con l’ala movimentista del Pd e con la sinistra estrema (per giunta benedetta dalla piazza) sposta l’asse su posizioni inaccettabili per gli altri, pena il crollo di decenni di relazioni internazionali costruite stando al governo. Brutta aria al Nazereno (a Conte non dispiace affatto).
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