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Mimmo Lucano è decaduto ma nomina il vicesindaco Spanò

Gaetano Mineo
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Il piccolo comune di Riace rischia di precipitare in un vuoto istituzionale senza precedenti. Al centro della bufera c’è ancora una volta Mimmo Lucano, l’ex sindaco simbolo del modello di accoglienza dei migranti, condannato definitivamente dalla Corte di Cassazione lo scorso febbraio a un anno e sei mesi di reclusione per falso, con pena sospesa. Una sentenza che ha innescato la procedura di decadenza automatica dalla carica di sindaco della cittadina calabrese ai sensi della legge Severino, come ribadito dalla Prefettura di Reggio Calabria lo scorso 13 marzo. Eppure, nonostante tutto, Lucano continua a tenere le redini del Comune, compiendo atti amministrativi che appaiono privi di qualsiasi fondamento amministrativo. Il caso scoppia lo scorso 26 marzo, in pratica, dopo 13 giorni che l’eurodeputato di Avs (il partito di Bonelli & Fratoianni) era già decaduto da primo cittadino, ovvero quando un atto ufficiale pubblicato sull’Albo Pretorio del Comune calabrese sancisce la nomina di un nuovo vicesindaco, Maria Caterina Spanò, da parte dello stesso Lucano.

 

 

 

Una mossa che ha sollevato un coro di proteste da parte dei consiglieri comunali di minoranza, i quali hanno inviato una formale denuncia alla Prefettura reggina e al ministero dell’Interno. Secondo l’opposizione, questa nomina sarebbe «priva di efficacia giuridica», poiché Lucano, era giù decaduto dalla carica di sindaco. Ma a dar sospetti è anche la tempistica: la nomina del vicesindaco arriva due giorni dopo dal Consiglio comunale convocato proprio per discutere della decadenza di Lucano. Discussione mai fatta in quanto la maggioranza ha preferito rinviarla adducendo la necessità di ulteriori approfondimenti giuridici.
Un rinvio che, secondo l’opposizione, appare come un tentativo di guadagnare tempo e «eludere gli effetti giuridici già sanciti dalla normativa vigente». Ultimamente, le vicende di Lucano sono state segnate da luci e ombre.

 

 

 

Da un lato, il suo modello di accoglienza ha reso Riace un simbolo internazionale di integrazione; dall’altro, le indagini giudiziarie hanno sollevato pesanti accuse sulla gestione dei fondi pubblici destinati all’accoglienza dei migranti. In primo grado, Lucano era stato condannato a 13 anni e due mesi di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e ad altri reati. La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha però ridotto la pena, riconoscendogli la responsabilità solo per un singolo episodio di falso relativo a una delle 57 delibere contestate. Una sentenza confermata in via definitiva dalla Cassazione, che ha rigettato i ricorsi presentati sia dall’accusa sia dalla difesa, definendo infondati i motivi sollevati. Un fatto è certo, nonostante la condanna definitiva, Lucano ha scelto di non fare un passo indietro, continuando a esercitare funzioni che, secondo la legge, non gli competono più.

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