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Lega, l'intervista a Zaia: “Il leader è Salvini, ma occhio al Veneto. Su dazi e guerra Meloni ci ascolti”

Edoardo Romagnoli
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No ai dazi e agli armamenti, sì alla diplomazia e alla cura dei rapporti bilaterali, questo in sintesi il pensiero del governatore Luca Zaia sulla politica internazionale. Senza dimenticare il congresso della Lega che dovrà ripartire dal suo Veneto.

Governatore ho visto che gli imprenditori veneti che producono uova hanno ricevuto richieste dagli Stati Uniti alle prese con una carenza dovuta all'influenza aviaria. Che prezzi gli farete, con o senza dazi?
«Gli Stati Uniti sono sempre stati amici del Veneto, dell'Italia e tali resteranno per quello che mi riguarda. Oltretutto è un momento di difficoltà per cui siamo sempre pronti ad aiutare».

Ma quindi è d'accordo con la Premier Meloni di non fare una guerra commerciale a colpi di dazi con gli Usa?
«Sono d'accordo e penso anche di averlo detto in tempi non sospetti. Tra l’altro il Presidente degli Stati Uniti viene eletto dai cittadini americani, ma noi italiani abbiamo la presunzione di decidere chi deve essere il Presidente giusto per gli Stati Uniti».

C’è da dire che non sembra facilissimo avere a che fare con Donald Trump.
«Non mi sembra che fosse tanto semplice neanche dialogare con l'amministrazione Biden. Tant'è vero che di dazi se ne è parlato con Bush, con Obama, con Trump nel 2018, con Biden. A me sa cosa preoccupa?».

No, cosa?
«A me è fa paura che ci sia un sentimento nascente di anti-americanismo a livello europeo e questo porta solo danni. Vorrei ricordare che se abbiamo la democrazia dobbiamo ringraziare anche gli Stati Uniti. Prima cosa. Seconda cosa, voglio anche ricordare che l'Europa non dialoga con la Russia per ovvi motivi; gli abbiamo anche messo le sanzioni. Non parliamo con la Cina per il pericolo dumping. Se ci tagliamo fuori anche dal rapporto con gli Stati Uniti facciamo una frittata».

 



Quindi l’Europa che dovrebbe fare?
«L'Europa deve investire su un asse vero che è quello UE-USA. Questa è la vera sfida del futuro. Perché lasciare liberi gli Stati Uniti vuol dire che gli accordi li andranno a fare con gli altri. Noi siamo sempre il più grande mercato del mondo, 450 milioni di abitanti. Quindi la vedo dura che gli Stati Uniti possano immaginare di non avere rapporti con l'Europa».

L’Italia può veramente fare da pontiere?
«Penso che Giorgia Meloni, la premier, fin dal primo giorno si sia mossa benissimo sul fronte delle relazioni internazionali. Un lavoro che oggi dà a questo Paese standing e reputation a livello internazionale. A questi livelli ci eravamo arrivati solo con Berlusconi. Possiamo giocarci questa partita perché l'Europa, messa com'è, non è in grado, non ha una figura forte per dialogare con gli Stati Uniti. L'Italia è un Paese Trump friendly, anche perché non è andato a invischiarsi nella campagna americana, come hanno fatto altri Paesi. Ricordo anche che l'Italia tra i paesi europei del G7 è sicuramente quello che ha più agibilità a dialogare con gli americani. Il Nord Europa sta già boicottando i prodotti americani, a me sembra un assurdo. Vuol dire non avere coscienza che il mercato è globale».

Parliamo invece di Rearm Europe. Che idea si è fatto?
«Penso che la Rearm Diplomacy sia la vera sfida. Le guerre hanno un inizio e una fine. I giovani ci indicano la via. Se andassimo a fare questa domanda ai giovani avremmo una risposta univoca contro. La durata di una guerra è inversamente proporzionale alla forza dell'azione diplomatica. Se parlo di Ucraina penso che l'azione diplomatica ad oggi sia stata veramente debole. Non possiamo pensare di sostituire la diplomazia con gli armamenti. Putin è l'aggressore perché tre anni fa ha invaso il territorio d'Ucraina. Noi abbiamo aiutato Kiev, ma adesso come dice Trump, bisogna fare un armistizio. Se l’azione diplomatica degli Usa funzionerà l'Europa sarà tagliata fuori totalmente. Mentre noi facciamo ReArm Europe gli altri faranno l'armistizio».

 



Lei ci sarà al congresso della Lega a Firenze o dovrà presiedere al Vinitaly?
«Sarò sia al congresso che all'inaugurazione del Vinitaly. Non ho mai mancato né a un congresso né al Vinitaly».

Non ci sono sfidanti per Matteo Salvini, ma c’è la mozione Stefani.
«La mozione di Stefani, che è assolutamente di buon senso, non è di belligeranza ma è identitaria nei confronti di una regione che è il pilastro fondamentale della Lega».

Voi state sul modello del partito nazionale che ha impostato Salvini, ma chiedete un'attenzione particolare al Veneto. Giusto?
«Umberto Bossi ci diceva sempre da ragazzi che il Veneto è la regione più identitaria che ci sia all'interno della costellazione delle regioni della Lega. Quindi è logico e ovvio che una regione così identitaria possa fare anche una mozione altrettanto identitaria».

Regionali in Veneto. Secondo alcune ricostruzioni in caso non le facessero fare il terzo mandato potrebbe ricoprire il ruolo di pro-governatore, sulla falsa riga di ciò che fece il sindaco Gentilini a Treviso quando venne chiamato a fare il vice di Paolo Gobbo. È fantapolitica o c'è qualcosa di vero?
«Sono oggetto tutti i giorni di ricostruzioni, delle più fantasiose. La realtà è che a me mancano 8 mesi per finire questo mandato. Sono sempre stato corretto e non mi sono mai fatto distrarre dalle future elezioni, ho sempre governato. Ho dato una parola ai veneti e non mi sono candidato alle Europee abbandonando la Regione. Voglio onorare fino alla fine la fiducia che hanno riposto in me i cittadini».

 



Quindi nessun piano per il futuro?
«Sono un fatalista. Seneca diceva che la vita non è breve ma è l'uomo che la rende breve. E per renderla breve basta pensare al futuro tutti i giorni».

Ma non le piacerebbe fare il terzo mandato?
«Ho sempre fatto l'amministratore, sono concentrato nella sfida di dare risposte ogni giorno ai veneti. Del mio futuro parlerò più avanti. Ricordo che il limite dei mandati è nato molto tempo fa per bloccare la strada ad alcuni governatori e sindaci. Ma oggi il blocco per fermare presunti centri di potere è un’assurdità: i cittadini sanno benissimo a chi dare, o togliere, la loro fiducia con il voto. Chi pensa il contrario e vuole limitare la loro possibilità di scelta penso che dimostri poco rispetto per gli elettori».

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