
Effetto Serra batte Elly Schlein: pacifinti e guerrafondai nella piazza per l'Europa. E la linea la danno i Vip

Michele Serra non ha il phisique du role del leader e quando sale sul palco di fronte a una piazza del Popolo stracolma con quei fogli in mano sembra sia anche leggermente spaesato. Forse perché, per un attimo, si è reso conto di essere riuscito in quello che «la sinistra» (una parola ripetuta così tanto che ha perso di senso) ha fallito negli ultimi anni. È l’effetto Serra. Con un appello sul giornale, in un’era di appelli social, ha mobilitato 50mila persone che di sabato pomeriggio si sono messi in cammino per ascoltare. «Mi scusi, perché è qui?», «Per ascoltare quello che hanno da dire» ci risponde una signora di mezza età avvolta in una bandiera dell’Europa. Verrebbe da dire: Elly prendi appunti, qui c’è qualcuno che ancora vorrebbe ascoltare, se solo avessi qualcosa da dire.

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E infatti quando la segretaria fa capolino in piazza c’è chi le urla: «Perché ti sei astenuta?», il riferimento è ovviamente al voto di Strasburgo sul ReArm. Ma lei nicchia e replica: «Niente polemiche». La piazza è un potpourri. È la piazza per l’Europa. Già ma quale Europa. L’Europa dell’Erasmus, sì ma quello c’è dal 1987. L’Europa libera e unita, anche quella c’è e non è messa in discussione. L’Europa di Schengen, anche quella c’è già e sì è un bene difenderla ma se l’Europa è democrazia in democrazia c’è anche la libertà di cambiare modello se le cose iniziano a non funzionare. Maurizio De Giovanni dice che l’Europa è come «un condominio», in cui non si può delegare il voto agli altri condòmini o meglio lo si può anche fare ma senza poi pensare di avere il lusso della lamentela. È un modello che non funziona? Dobbiamo fare un passo in avanti? Vogliamo gli Stati Uniti d’Europa? Perché quell’idea è stata più volte bocciata, anche di recente alle Europee quando la lista di Bonino e Renzi non è riuscita a far entrare un singolo rappresentante nell’aula di Strasburgo.

Senaldi smaschera la piazza per l'Europa: vogliono la pace o la guerra?
L’Europa della pace, sì quella riemersa a fatica dalle bombe e dagli orrori della seconda guerra mondiale. L’Europa che vuole stare a fianco di Kiev ma se le armi non ce le mettono gli americani non intende sacrificare un singolo soldato sul fronte ucraino. L’Europa di Ventotene, quella che voleva una «forza armata europea»? Dal palco si susseguono gli interventi, tutti più che condivisibili, tutti molto belli ma che rischiano, come spesso accade, di avere come unico orizzonte il proprio ombellico. Nel suo videomessaggio Pif fa un appello per «scrollarsi di dosso la sindrome da colonia americana». Giusto, giustissimo. Come? Come si sostituisce l’ombrello della Nato? Con il ReArm? Perché di riarmo non parla nessuno. Troppo diviso, troppo scomodo. In un tempo in cui le superpotenze mostrano i muscoli nucleari l’Europa come pensa di poter stare seduta al tavolo che conta? Con l’Inno alla Gioia? Perché è questo il tema di questo tempo. Questa piazza era bella e il soggetto era talmente libero e ampio che non poteva che essere condivisibile. Certo, si potevano fare dei distinguo, come sono stati fatti, ma come si può essere contrari a una piazza che ci ricorda che siamo «cittadini europei»?
Scurati fa un lungo elenco di ciò che non vogliamo essere che è un esercizio di stile sempre valido per iniziare a capire cosa vogliamo diventare, ma rimane un inizio. È una piazza, come ha ricordato Serra, che ha tante domande e poche risposte. Ma solo perché le risposte non sono materia della società civile, le risposte le deve dare la politica. La vera assente in piazza del Popolo. E, visto il pienone, è stato solo un bene. Ma l’indirizzo, la destinazione che vogliamo far raggiungere all’idea che abbiamo di Europa non può che essere una sintesi e la sintesi non può che essere politica. «Scusi lei perché è qui? Per sentire Jovanotti». Bene e allora sentiamo Jovanotti che ci ricorda che per lui l’Europa era «un gioco, anzi i giochi senza frontiere». No, non è uno scherzo.
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