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Pd, intervista alla dem Pinotti: “No alle armi? Non si avanza nei diritti senza investire in Difesa”

Edoardo Sirignano
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«Difficile far avanzare diritti e sviluppo in Europa senza difesa. Non lo dico io, ma i Socialisti e Democratici Europei». A dirlo l’ex ministro Roberta Pinotti.

Si ritrova con la scelta di Donald Trump di alzare la voce nei confronti di Volodymyr Zelensky?
«Sono rimasta molto turbata da quanto avvenuto. Generalmente la primissima parte degli incontri negli USA si fanno a favore di fotografi e si dicono frasi di circostanza come “grazie per essere venuto”, “faremo un’alleanza forte” e via dicendo. Dopo si parte con l’incontro vero e proprio. Nel discusso bilaterale alla Casa Bianca, invece, si sono affrontate questioni delicatissime alla presenza di tutta la stampa. Qualcosa di non preparato diplomaticamente e che ha squadernato davanti al mondo l’aggressività di Trump e del suo vice. Ciò ha spiazzato tutti».

Perché?
«È sembrato che quanto ci siamo detti per anni, cioè che dovevamo ringraziare l’Ucraina che combatteva anche per noi, si fosse capovolto all’istante. Come se Zelensky dovesse essere umiliato per rassicurare Vladimir Putin. Sappiamo tutti che senza gli aiuti americani le possibilità di resistenza degli ucraini sarebbero limitate nel tempo, ma impostare una trattativa così brutale non è certo utile a rimettere insieme i pezzi di un mondo in frantumi».

C’è, però, chi sta demonizzando Trump?
«Non mi pare questo il problema. Il dialogo con gli Stati Uniti va mantenuto, essenziale è una divisione dell’Occidente, ma non tutto è accettabile e non si può sempre chinare la testa».

A cosa si riferisce?
«È venuto il momento che l’Europa batta un colpo, si assuma le proprie responsabilità. Altrimenti non ci sarà un dialogo costruttivo tra alleati, ma il tentativo di creare subordinazione».

 



Per farlo, però, bisogna essere in grado innanzitutto di difendersi. Si ritrova con l’ultima uscita di Ursula von der Leyen?
«Il titolo “Rearm Europe” è inappropriato. Dal 2008 a oggi, i bilanci dei diversi Stati, a partire da quello italiano, sulla Difesa hanno diminuito drasticamente i propri investimenti. Più che parlare di corsa agli armamenti occorre dirci che serve recuperare capacità perse».

Stiamo parlando, dunque, di “deficit in armi”?
«Nessuno pensa a posture aggressive, ci mancherebbe. Parliamo di Difesa, di colmare lacune. Allo stesso modo, però, non possiamo ignorare il tema della deterrenza. La proposta Von der Leyen è un passo avanti, il segnale che l’Europa non vuole stare ferma. Si parla di 800 miliardi, ma quelli realmente mobilitati sono 150, per i quali si fa debito europeo e sono per la difesa comune».

Nel suo partito, come in tanti altri, c’è, però, chi continua a dire che le guerre si risolvono mettendo i fiori nei cannoni...
«A volte si fanno delle discussioni senza guardare alla realtà. Qualcuno non si rende conto che l’Ucraina ci sta dicendo che, senza le armi americane, la loro difesa durerà al massimo sei mesi. Quindi, purtroppo, il tema di avere capacità di armamento non è esigenza teorica, pur augurandoci tutti che il conflitto finisca domani. Ricordiamo cosa è avvenuto in Afghanistan?».

 



Cosa ne pensa invece della possibilità di inviare contingenti europei come forze di interposizione ?
«Sono decisioni per ora premature e sarà necessario coinvolgere l’Onu. Ovviamente mi auguro che si trovi al più presto un accordo per la pace, che deve essere giusta e non conceda vittorie a tavolino all’aggressore.

Perché servono più risorse per la Difesa?
«Non viviamo in un mondo sicuro, mi pare evidente, i pericoli stanno aumentando e spesso arrivano da forze non statuali dei terroristi o forze jiadhiste potrebbero voler colpire per fare più male possibile, proprio sui cittadini più inermi, magari i malati in un ospedale o i bimbi di un asilo.
Noi dobbiamo essere in grado di fermarli, dobbiamo saper proteggere la nostra comunità».

In un certo senso si ritrova con quanto denuncia il ministro Guido Crosetto?
«Mi rendo conto che abbiamo bisogno di risorse per molte cose, prima fra tutte la sanità, ma anche sulla Difesa le risorse sono necessarie, in particolar modo con questo quadro internazionale. È un tema strategico, su cui bisognerebbe andare oltre gli steccati di parte».

Rispetto all’Ucraina, la sinistra, intanto, scende su tre piazze diverse. Quale sente a lei più vicina?
«Certamente quella del 15 marzo».

 

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