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Giustizia, contrordine compagne toghe. Salta il dialogo dell'Anm con Meloni

Rita Cavallaro
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«Non sono disposto a trattare nessuna modifica della riforma in cambio di alcunché: l’ho ripetuto allo sfinimento, per la semplice ragione che non ho - non abbiamo, spero e credo - nulla da offrire in cambio. Nulla. Non potevo aver programmato nulla (chi era presente a Roma, sa quali sono stati i j tempi e le modalità della decisione) sulla mia richiesta di essere ascoltati. Sono ragionevolmente certo che il Presidente del Consiglio - come molti di Voi - non avesse neppure idea della mia esistenza. Sono, per molti aspetti, più stupito di Voi della celere risposta. Vuol dire solo credo - che ci stavano ascoltando, con attenzione. E questo non è un male. Perché parlare, se non ci sono spazi di trattativa?». È un passaggio della lettera inviata ai colleghi da Cesare Parodi, il nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, colui che, appena eletto, aveva aperto a un confronto con il governo sulla riforma della giustizia e che, di fronte alla risposta positiva della premier Giorgia Meloni, è stato costretto a un dietrofront clamoroso. Perché per quanto Parodi sia espressione di Magistratura indipendente, la corrente conservatrice che ha incassato più voti alle ultime elezioni del sindacato, è già un capo "commissariato" dalle toghe rosse che, tra i seggi di Md e AreaDg, mantengono salda la maggioranza dell’Anm.

 

 

Nella missiva, Parodi non solo garantisce che la linea sarà quella dello scontro contro il governo, ma si anima dello "spirito di Palermo", quello più integralista sfoggiato contro i porti chiusi di Matteo Salvini e che ha raggiunto l’apice con il congresso del maggio scorso, in cui sfilarono la segretaria del Pd Elly Schlein e il capo dei 5 Stelle Giuseppe Conte. Il presidente si impegna a fare da interprete dei desiderata delle correnti di sinistra che vogliono boicottare la riforma della giustizia. «Sino a qualche giorno fa, pochi tra voi mi conoscevano; oggi (purtroppo, forse) quasi tutti», scrive Parodi, sottolineando che «so perfettamente che molti di Voi la maggioranza, credo - nutrono dubbi sul mio operato e ancor di più sulle mie intenzioni». Il capo del sindacato rassicura, dunque, i più dubbiosi: «Sono da sempre totalmente, ontologicamente contrario a questa riforma e ancor più - alla prospettiva di assoggettamento del PM (quindi, indirettamente del giudice, che troverà sul suo tavolo ben poco da giudicare) al potere esecutivo. L’ho dichiarato da anni anche in dibattiti pubblici ai quali hanno assistito politici ai quali posso chiedere di confermarlo». Ridimensiona poi la sua iniziativa di dialogo con il governo a un semplice passaggio nel discorso che il capo aveva fatto ai suoi, non certo un annuncio formale, chiarendo senza mezzi termini la più totale aderenza alle battaglie già predisposte dalla giurisdizione, «Io confermo e condivido lo “spirito” di Palermo, in tutto e per tutto. La riforma è globalmente, in tutto e per tutto, non accettabile». Il presidente dell’Anm si dice «personalmente, stanco di un aspetto. Spiegare una volta per tutte - con chiarezza e direttamente, che noi ci opponiamo alla riforma perché crediamo sino in fondo nella Costituzione, come è oggi e per come è stata declinata, che vogliamo difendere un modo di essere magistrati nel quale ci riconosciamo e fare questo nell’interesse dei cittadini - credo non possa essere un male».

 

 

Parodi, eletto solo la settimana scorsa, è già stanco. «Non stiamo combattendo per la difesa di un privilegio, per spirito corporativo o per ragioni puramente ideologiche, ma solo per difendere il nostro modo di operare nell’interesse dei cittadini. Perché “amiamo” la Costituzione sulla quale abbiamo giurato», sostiene. «Ecco», prosegue, «se fosse possibile, rimanendo fermamente sulle nostre posizioni, contribuire a creare un clima di reciproco rispetto, per evitare che ogni giorno la giunta si debba interrogare su quale collega è stato accusato per i calzini indossati o le processioni alle quali ha partecipato, non sarebbe cosa da poco. Lavorare tutti con un po' di serenità, sapendo non dover essere giudicati per quello che siamo, non sarebbe cosa da poco». Insomma, che nessuno osi criticare i giudici. «E per fare questo», scrive Parodi, «occorre dimostrare di non avere pregiudizi: ognuno resta con le proprie idee ma nessuno ci deve accusare di non avere provato a scegliere una modalità di rapporto diversa. Non accadrà? Non sarà per colpa nostra e lo diremo, ai nostri colleghi e alla società civile». Il presidente scrive che «è fuori, nel paese, dopo lo sciopero - che farò e faremo - che si gioca la partita: per quanto sapremo essere convincenti, ovunque e con chiunque. Sarà un lavoro difficile, ma stimolante: ci dobbiamo provare». Perché Parodi confessa di non dormirci più la notte «e non in senso metaforico», assalito dal «timore concreto, costante di non riuscire a rappresentare tutti voi» e dall’angoscia di «pensare di poter tradire una fiducia, anche se a termine, anche se occasionale, su come essere la sintesi espressiva di questa multiforme realtà». E infine l'appello: «Chi vorrà, potrà aiutarmi, suggerendomi come farmi interprete delle modalità di ricerca del raggiungimento di obiettivi comuni». Che, comunemente, sono quelli delle toghe rosse.

 

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