
Giustizia, le toghe rosse frenano il nuovo presidente Anm: avanti con lo sciopero

Cambiano i vertici della magistratura ma non l’ostilità delle toghe rosse contro il governo. Che non ci sia la svolta moderata all'Anm, incarnata dal neo presidente Cesare Parodi di Magistratura indipendente, lo dimostra il teatrino che si è consumato ieri, quando il capo dell’Anm ha tentato di sotterrare l’ascia di guerra, palesando alla premier l’intenzione di aprire un confronto sulla riforma della giustizia. «Chiederò in tempi brevi un incontro con il governo. Non possiamo rinunciare a nessuna strada perla difesa della magistratura, è un momento delicato e non possiamo commettere errori», aveva annunciato Parodi. La risposta del presidente del Consiglio non si era fatta attendere: Meloni si era detta pronta ad accogliere «con favore la richiesta di un incontro col governo», auspicando «che, da subito, si possa riprendere un sano confronto sui principali temiche riguardano l’amministrazione della Giustizia nella nostra nazione, nel rispetto dell’autonomia della politica e della magistratura». Uno spiraglio di dialogo durato giusto il tempo di quelle dichiarazioni, che hanno provocato i primi scricchiolii del labile accordo sfociato nell’elezione di Parodi, in quanto le correnti di sinistra unite mantengono la maggioranza dei seggi nel Comitato direttivo centrale e seguono la linea più intransigente delineata da quella Magistratura democratica che, tra i suoi big, può vantare delle toghe anti Meloni Silvia Albano e Marco Patarnello. Lo stesso Patarnello, colui che nella mail rivelata da Il Tempo aveva definito la premier più pericolosa di Berlusconi perché si muove per una visione politica in grado di mettere a rischio la giurisdizione e non per un salvacondotto, era il favorito a guidare l’Anm, dunque il passo indietro, con la virata su Parodi, non può considerarsi una resa, tutt’al più una valutazione di opportunità.

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D’altronde, a parlare sono i fatti e il rapido dietrofront di Parodi, costretto a rettificare per arginare le polemiche dei colleghi che puntavano il dito contro il presidente, reo di non essersi consultato con il direttivo. «Forse ho iniziato male perché sono partito con una richiesta mia personale che avvertivo con una certa intensità, senza consultarmi con i colleghi, e di questo chiedo scusa», si è affrettato a chiarire il capo delle toghe, dissotterrando l'ascia appena sotterrata con un annuncio chiaro: comunque vada, lo sciopero del 27 febbraio contro la riforma del governo si farà. «Non avrebbe alcun senso oggi una revoca formale dello sciopero, oggi dobbiamo discutere, al di là del dato formale, sulle modalità», ha spiegato il capo dell'Anm, garantendo però che le toghe rosse sono disposte a revocare la giornata di agitazione «se il giorno prima revocano la riforma».

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Una richiesta fuori dalla realtà, dato che il governo non intende arretrare neanche di un millimetro sulla separazione delle carriere, il restyling del Csm e l'istituzione dell’Alta Corte. Anzi, come ha già chiarito nei giorni scorsi il Guardasigilli Carlo Nordio, «più ci attaccano e più andiamo avanti». E a «commissariare» l'apertura al confronto di Parodi è intervenuto il Comitato direttivo dell'Anm, che «invita i colleghi ad indossare la coccarda tricolore durante tutte le udienze civili e penali da qui allo sciopero del 27 febbraio». Contro la nuova iniziativa si è scagliato il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, con tre consigli ai magistrati ribelli: «Revochino questo sciopero eversivo; se non fosse possibile lavorino di più, per far rilevare la differenza tra lo sciopero eventuale e le giornate di lavoro, che non appaiono caratterizzate da ritmi apprezzabili e sembrano un simil-sciopero permanente; se proprio devono indossare una coccarda se la mettano rossa, così confermeranno la loro natura di avanguardia militante della sinistra politica. Povera Italia».

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