Centro, quel progetto Ruffini. Tra cattolici, Mattarella e la grande voglia di Dc
«Cu è surdu, orbu e taci, campa cent’anni ’mpaci», recita un detto siciliano. Ma Ernesto Maria Ruffini, 56 anni, palermitano, avvocato tributarista, una passione per la pittura, nato sotto il segno dei Gemelli, pur senza far rumore, non sembra il tipo da ignorare le sirene che lo chiamano in campo. Manager del «Fisco 2.0», con pedigree leopoldiano e allievo del professore Fantozzi (non il ragioniere), Ruffini è al centro di una narrazione che divide: per alcuni è l’uomo della Provvidenza capace di riunire i cattolici dispersi nella diaspora post-democristiana, per altri ha poco carisma né buca lo schermo. A questi ultimi un consiglio: mai sottovalutare un siciliano, soprattutto se figlio di ministri, nipote di cardinali e con fratelli funzionari in Vaticano. Da parte sua, Ruffini ha lasciato l’importante incarico di direttore dell’Agenzia delle Entrate pur assicurando di non voler scendere in politica. Eppure, a «stampigliarlo», il 18 gennaio a Milano, ci sarà anche «Comunità democratica», associazione che debutta nell’anniversario della fondazione del Partito Popolare di Don Sturzo. Un richiamo d’antan per chi, da Delrio a Castagnetti, rimpiange ancora le mura ormai scrostate della Balena Bianca. Insomma, coloro che, come ricorda il lucidissimo Paolo Cirino Pomicino, chiusero i battenti della Dc. L’evento, con qualche spruzzata di Acli e società civile, punta a sfidare la sempre meno digeribile onda rossa di Elly Schlein, il cui stile «multigender» e «multicolor» lascia perplessa la platea cattolica.
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Ruffini - criticato per non essere abbastanza social ai tempi di X - sarà della partita. E qui sorge spontanea una domanda: a suo tempo, Sergio Mattarella aveva forse carisma quando fu issato sul Colle più alto? O Romano Prodi, correndo dietro a Riccardo Misasi, braccio destro e sinistro di Ciriaco De Mita, forse bucava lo schermo? Eppure, entrambi sono poi diventati punti fermi delle Istituzioni e del mondo cattolico italiano. Ruffini, dopo anni di vuoto pneumatico a sinistra, potrebbe essere l’ultima spiaggia per un’area cristiana oggi litigiosa, autoreferenziale e orfana di un papato che sembra sempre più distratto dalle vicende italiane. A indicarlo per primo è stato Beppe Fioroni, andreottiano doc, ex ministro dell’Istruzione, paladino dell’Istituto Toniolo - cerniera tra l’università cattolica e le diocesi italiane - con nessun desiderio di tornare in politica ma sognatore indefesso di un ritorno dei cattolici alla vis pubblica attiva e concreta. Fu proprio Fioroni, a Roma nel 2015, a riunire insieme a Lorenzo Guerini ben 189 parlamentari al ristorante «Scusate il Ritardo» in piazza della Rotonda per lanciare la candidatura vincente al Colle di Sergio Mattarella quell’epoca in cui persino Renzi (ndr. Auguri per i primi 50!) ammetteva candidamente di non avere il numero di Mattarella in rubrica. Il copione si ripete nel luglio 2024. A Trieste, durante le Settimane Sociali dei cattolici, nel ristorante «Menarosti» - il più antico della città - si parla di Ruffini come possibile aggregatore. Non è un caso che la 50ª Settimana Sociale ha scelto come tema «Al cuore della democrazia», quasi a suggerire che la Chiesa abbia ancora voglia di dire la sua. Nello stand dell’Azione Cattolica primeggiava una selezione di opere sui temi della democrazia, rappresentanza e partecipazione.
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Il «progetto Ruffini» si è poi rafforzato in un convegno organizzato alla Lumsa, nel dicembre scorso, sull’impegno politico dei cattolici democratici, alla presenza di Fioroni e dello stesso allora capo dell’Agenzia delle Entrate. Un’idea, quella del civil servant Ruffini, che si sta facendo strada e che viene vista con attenzione sia dal Colle che in Vaticano, dove si registra incredibilmente una strana convergenza tra il segretario di Stato Pietro Parolin e il presidente della Cei Matteo Zuppi. Senza alcuna velleità di fare un nuovo partito. Un filo rosso lega Ruffini a Mattarella. Entrambi figli della Sicilia, terra di ministri, cardinali, misteri e ristoranti dal fascino secolare. Sergio Mattarella e il papà di Ernesto, Attilio, sono stati ministri in più governi, cresciuti, pur in situazioni diverse, all’ombra del cardinal Ruffini, potente arcivescovo di Palermo dal ’45 al ’67, uno che sfidò i fascisti dando rifugio agli ebrei, nel palazzo di San Callisto in cui viveva a Trastevere e che godeva dell’extraterritorialità. Se don Sturzo frequentava le osterie di Caltagirone e a Roma «la Campana», aperto sin dal 1508, oggi Ruffini emerge tra i tavoli di trattorie dove si evocano le sorti di una nuova democrazia cristiana 4.0.
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A proposito di Luigi Sturzo, la sicilianità è tornata di gran moda. Siciliano è il capo dello Stato Mattarella, il presidente del Senato La Russa, il neocardinale vicario di Roma, don Baldo Reina, che peraltro officiò le nozze di un altro siciliano illustre Angelino Alfano, il procuratore della Repubblica di Roma, Francesco Lo Voi e quello di Milano, Marcello Viola. Da Milano a Orvieto dove sempre il 18 gennaio prossimo Paolo Gentiloni sarà ospite di «LibertàEguale», l’associazione dei piddini Stefano Ceccanti e Enrico Morando, anche loro in cerca di un leader che possa riportare all’ovile gli elettori cattolici e soprattutto quelli che non vanno più a votare. Hanno perso glamour nelle ultime settimane i tentativi di Franco Gabrielli, un prefetto per tutte le stagioni e di Giuseppe Sala sindaco di Milano che ha ritrovato la fede anni fa. La domanda resta: i cattolici del Pd, a partire proprio da Dario Franceschini, cercano un vero rinnovamento o questa è solo l'ennesima mossa per sabotare Schlein, magari solo per esorcizzare lo spauracchio del terzo mandato loro che sono in parlamento dal secolo scorso? E Ruffini, per ora sospeso tra nostalgia e speranza, riuscirà a dimostrare alle tante associazioni cattoliche - dall'Opus Dei ai neo catecumeni, da Comunione e liberazione fino al Forum delle Associazioni Familiari - che sui temi caldi (gender, fine vita aborto et similia) non ci sono scorciatoie o ammiccamenti che tanto piacciono per esempio a Sant’Egidio da sempre inginocchiato davanti al portone del PD al Nazareno? Per i cattolici duri e puri deve essere un no senza condizioni, nonostante un Papa che ammicca troppo spesso verso i «nemici» e che ha dato il via libera ai gay nei seminari. Quella della «brigata sicula» con il «neo Cardinal Ruffini» in testa è una partita tutta da giocare. Per ora, ovviamente, alla sicula, nessuno parla. Ma nelle trattorie le rivoluzioni si cucinano a fuoco lento e non si fanno i conti senza l’oste. E Ruffini sa tacere ma anche operare, il Sommo Pontefice Mattarella docet.