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Migranti, “l'Egitto non è sicuro”. Le toghe rosse sconfessano pure la Cassazione

Gianni Di Capua
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Le toghe rosse non si fermano nemmeno davanti alla Corte di Cassazione che nei giorni scorsi ha scritto chiaramente che spetta ai ministri, quindi al governo, la definizione dei Paesi sicuri. Una sentenza di non poco conto, visto che diversi magistrati, dalla Sicilia a Roma, negli ultimi due mesi hanno disapplicato proprio il decreto Paesi sicuri che permette di rimpatriare i clandestini che non hanno diritto a rimanere in Italia grazie alla protezione internazionale. Questa pronuncia della Cassazione, che comunque ha rinviato il tutto alla Corte di giustizia europea, è stata vista nei giorni scorsi come un via libera di fatto al trasferimento dei migranti negli hotspot in Albania. Ieri, però, è intervenuto il tribunale di Catania, con una decisione presa da Rosario Maria Annibale Cupri della sezione immigrazione, secondo il quale l’Egitto non è in termini assoluti un Paese sicuro, e quindi il trattenimento di un cittadino egiziano disposto dal questore di Ragusa, Marco Giambra, non può essere convalidato. Per l’egiziano è stato disposto l’immediato rilascio a seguito della non convalida del trattenimento.

 

 

Il cittadino egiziano, un uomo di 30 anni, aveva fatto domanda di riconoscimento di protezione internazionale al suo ingresso in Italia, a Pozzallo. La convalida del trattenimento era stata chiesta dalla questura di Ragusa. Ma il giudice Cupri, nella sua disamina, pone l’accento proprio sul recente pronunciamento della Suprema corte di Cassazione che con ordinanza interlocutoria «ha affermato il principio secondo cui il giudice ordinario ha il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità della designazione da parte dell’autorità governativa di un certo paese di origine tra quelli sicuri, ove tale designazione contrasti in modo manifesto con la normativa europea vigente in materia, anche tenendo conto delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32, aggiornate al momento della decisione». Insomma, per il giudice siciliano è vero che la definizione dei Paesi sicuri spetta al governo, ma lui ha il potere di disapplicare la legge italiana in questione.

 

 

Per farlo, Cupri esprime preoccupazione per denunce di arresti arbitrari, detenzioni illegali, maltrattamenti, sparizioni forzate, mancanza di garanzie processuali e del giusto processo in Egitto. E richiama il Comitato per i Diritti umani delle Nazioni Unite. secondo il quale le leggi penali sono utilizzate per reprimere l’attività degli utenti dei social media percepiti come critici nei confronti del regime e per criminalizzare attività connotate come «violazione della morale pubblica» e «minaccia dei valori familiari». La conclusione che ne consegue è che «facendo applicazione dei superiori principi, il giudice è tenuto ad operare una verifica di compatibilità della designazione con norme ad effetto diretto dell’Ue e tale verifica nel caso in esame non può che essere negativa e ciò tenuto conto delle "Coi" (Country of origin information del ministero degli Esteri, ndr) relative all’Egitto». Insomma, per il giudice la lista dei Paesi sicuri del ministero degli Esteri non sarebbe valida proprio a causa delle informazioni fornite dal ministero stesso. Evidentemente un paradosso.

 

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