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Pd, indietro miei Prodi. Il “Professore” vara il piano per spodestare Schlein dal Nazareno

Mira Brunello
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Un ritorno ai tempi d’oro, quando i cronisti bivaccavano sotto ai portici di Bologna in attesa di una sua dichiarazione. Insignito (o auto-insignito) del ruolo di grande «cacciatore», opinionista fisso su La7, il salotto buono di Urbano Cairo, in pratica il rientro nell’agone politico a tutti gli effetti. Attaccato da Giorgia Meloni nell’intervento di chiusura di Atreju e non difeso da Elly Schlein che inizia a temerlo: chissà che una volta tanto la presidente del Consiglio e la leader del maggior partito di opposizione non siano d’accordo. D’altra parte è lui la mente del «Centro» da costruire, l’arbitro supremo del tormentone più in voga nel campo largo: cercasi federatore. Altrimenti detto, colui o colei che alla fine dovrà sottrarre alla «sventurata» Elly la fascia da capitano. E presentarsi alle elezioni come alternativa a Giorgia Meloni. O almeno questi sono i piani che il Professore sta elaborando nei suoi tanti colloqui di lavoro, per valutare al meglio la sorpresa che dovrà uscire dal cilindro.

 

 

Sprezzanti i suoi giudizi sull’inquilina del Nazareno: troppo «unfit» per ambire al riconoscimento, «dobbiamo per forza mettere in campo un altro nome». La ricerca è spasmodica ed al momento anche infruttuosa, va precisato. Nel senso che gli aspiranti al titolo sono tanti, ma per un motivo o per l’altro, ad un certo punto il meccanismo si inceppa. E tocca ricominciare da capo. Intanto i primi due nomi che hanno appassionato le cronache di queste settimane, Giuseppe Sala ed Ernesto Maria Ruffini. Il primo, gran ciambellano di Milano che vede la fine del suo mandato a Palazzo Marino, è uomo «volubile». Nel ‘22 si era appassionato ad un’altra ricerca: voleva in tutti i modi creare una lista ecologista di sinistra per aiutare Enrico Letta. Poi cadde il governo Draghi, si andò ad elezioni anticipate, e la questione fu affidata ad Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che si inventarono l’Alleanza Verdi e Sinistra. Ora che manca il «Centro», il buon Sala si è iscritto subito alla selezione, per bruciare la concorrenza. È che nel frattempo la casa madre, il Nazareno, sta pensando ad una delle sue: cambiare voto, dalla Camera al Senato (dove arriverà a gennaio) proprio sul Salva-Milano, anche se il progetto è a prima firma della capogruppo dem a Montecitorio Chiara Braga. Si sono mossi con un appello 140 cattedratici, una sirena alla quale il Nazareno non può resistere.

 

 

Richiamato a casa dall’emergenza, il sindaco per ora ha staccato la spina: «non parlatemi del Pd». Un vuoto subito coperto dalla «macchina da guerra» che doveva far entrare in scena, il campione del «bene comune», incedere e prosopopea da «Canzone popolare», insomma Prodi sul pullman, 29 anni dopo. Finalmente il nome giusto, figlio di un ministro dello Scudo Crociato, fratello del Prefetto del dicastero per la comunicazione della Santa sede, nipote di un cardinale, un importante incarico pubblico, un esordio in quella che era la «Sanremo» della politica (la Leopolda) nella categoria giovani emergenti. Ovvero Ernesto Maria Ruffini. Prodi acconsente, «può essere lui», Goffredo Bettini è informato: si può procedere, «alzati che si sta alzando», la «mitica» sinistra democristiana. Il problema è che poi non tutto è andato bene: il nome è stato pompato con grande enfasi dagli entusiasti Beppe Fioroni e Bruno Tabacci, Ruffini si è indispettito ed ha abbandonato l’Agenzia delle entrate, con una lunga intervista al Corriere della Sera, pare non concordata con i suoi sodali, che letteralmente non ne sapevano niente. Insomma un bel pasticcio, tanto che due giorni dopo ad un seminario a Città del Vaticano in cui era stata annunciata la presenza sia di Romano Prodi che di Ernesto Maria Ruffini, Mister Fisco ha dato buca.

 

 

Anche Paolo Gentiloni è tornato a farsi vivo con un’intervista-lenzuolo sul Foglio, qualcuno ha gridato: è lui il federatore, ma inutile insistere: l’ex commissario non vuole litigare con il Pd. Sempre per la serie i «grandi» ritorni, va segnalato Andrea Orlando che, indispettito per il trasferimento obbligato a Genova, se l’è presa con la sua segretaria: «il centro non possiamo crearcelo in vitro». E poi c’è Matteo Renzi, che non vuole essere spodestato a casa sua, «perché non candidiamo Franco Gabrielli»? Insomma tempi inquieti al Nazareno, sono da sorvegliare anche le evoluzioni in casa 5 stelle, sia sul lato Conte che Grillo. Due nemiche in vista: Chiara Appendino e Virginia Raggi. Stessa idea di Prodi: trasformare Elly Schlein nel loro pungiball.

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