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Parla Piantedosi: "Così difenderò il Giubileo dal pericolo terrorismo"

Tommaso Cerno
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Sette giorni all’inizio del Giubileo. I lupi solitari e il fondamentalismo islamico sono una minaccia concreta per Roma, la Capitale del mondo cristiano in guerra. L’allerta è altissima. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi lo sa bene. E vuole essere «rassicurante», perché dietro le quinte dei nostri uomini in divisa, ogni giorno, viene portato avanti un lavoro imponente di «prevenzione».

Ministro, partiamo proprio da qui. Papa Francesco ha lanciato un appello a vivere il Giubileo in maniera spirituale. Stiamo parlando della Capitale della cristianità in un momento in cui l’islamismo radicale inneggia alla distruzione del modello occidentale. Roma potrebbe essere il luogo per attentati simbolici?
«Voglio sottolineare la grande capacità e professionalità delle nostre forze di polizia e lo scambio di informazioni con il comparto dell’intelligence. Perciò siamo abbastanza rassicuranti. Ciò non significa sottovalutare i rischi. Roma è un obiettivo che viene riscontrato dagli analisti su tutti i canali su cui si trasmettono messaggi ostili da parte dell’islamismo radicale. Manteniamo un’attenzione altissima. Dal 7 ottobre in poi, ovvero da quando il clima si è surriscaldato, abbiamo utilizzato alcuni strumenti che ci hanno consentito di controllare i soggetti considerati sospetti. Abbiamo espulso 107 persone con un sistema preventivo. Soggetti solitari che vengono incoraggiati, attraverso la propaganda sul web, a compiere azioni che avrebbero lo stesso clamore e pericolosità dei grandi gruppi terroristici».

Si è molto discusso del dramma di Corvetto, con l’inseguimento e la morte di Ramy. Sotto accusa sono finiti i carabinieri. Così non viene delegittimato chi deve garantire l’ordine nelle nostre città?
«Premessa: questa indagine è anche a garanzia degli operatori. Non dobbiamo mai evocare un’immunità pregiudiziale per le forze dell’ordine ma nemmeno accettare giudizi sommari. Detto ciò, come si è visto anche dalle immagini televisive, bisogna ricordare che stavano facendo il loro lavoro mettendo a rischio la loro stessa incolumità. Un ragazzo ha perso la vita in modo tragico, ma i carabinieri non sapevano chi avevano di fronte, hanno dovuto fare un inseguimento lungo e complicato. È importante che le forze dell’ordine sentano attorno a loro una cornice d’opinione che apprezza il loro lavoro».

Questo apre il tema della microcriminalità che poi tanto micro non è. Dalle statistiche sembra che siano gli stranieri irregolari a compiere certi tipi reati. É davvero così?
«Assolutamente sì. I dati sono oggettivi. In alcuni casi abbiamo punte del 60% di reati commessi da stranieri. Ciò non significa che l’immigrato abbia una propensione naturale o maggiore a compierli. Ma è il segno che un’immigrazione incontrollata, gestita dai trafficanti di esseri umani, non fa male solo agli italiani ma anche agli stranieri stessi. Le direttrici sono due: contrasto agli sbarchi e gestione dei flussi regolari. Quando ero prefetto mi sono occupato tante volte delle grida di allarme che arrivavano dalle periferie delle nostre città, ad esempio di chi vive in condomini ostaggio degli occupanti abusivi dove dilagava lo spaccio di droga. Persone che ci segnalavano la giusta aspirazione ad avere una vita tranquilla».

Gli sbarchi sono diminuiti, ma c’è la polemica sui centri in Albania che ancora non funzionano. Giorgia Meloni assicura che il problema sarà risolto. Ne è sicuro anche lei?
«Quest’anno abbiamo avuto circa il 60% di sbarchi in meno rispetto al 2023, e meno 30% rispetto al 2022. È un risultato frutto di un lavoro complesso, a partire dalle collaborazioni coni Paesi di transito e di origine. Detto ciò, penso che contrastare l’iniziativa dell’Albania come stanno facendo le opposizioni sia miope, con toni a volte anche esagerati. Sembra che siano il buco nero dei diritti umani, mentre invece è un’iniziativa su cui l’Italia anticipa quella che sarà la soluzione europea. Qualche giorno fa sono stato al Consiglio europeo di giustizia e affari interni a Bruxelles e posso dirvi che dell’iniziativa in Albania si parla in modo diffuso e approfondito. Come ha detto Giorgia Meloni è un’iniziativa a cui noi diamo molta importanza. Ci sono degli step di carattere giudiziario a cui guardiamo con molto interesse e rispetto. Dopodiché si tratta solo di una questione di tempistica. L’obiettivo è il contrasto dell’immigrazione irregolare».

C’è un report del Consiglio d’Europa che denuncia violenze o situazione al limite nei Cpr. Che idea si è fatto?
«Ho profondo rispetto di tutte le istituzioni nazionali e internazionali. Ultimamente però mi sfugge quale sia il ruolo del Consiglio d’Europa. Stiamo parlando dello stesso organismo che produsse solo qualche mese fa un rapporto che diceva che la nostra polizia era razzista. Fanno dei reportage a cui noi ribattiamo. I Cpr di per sé sono luoghi complessi perché le persone, per quanto legittimamente, sono private della libertà personale. Abbiamo illustrato adeguatamente al Consiglio d’Europa quali sono i criteri di gestione che applichiamo in questi centri. Tutte le accuse, come i trattamenti farmacologici inappropriati, sono state smentite da indagini giudiziarie. Quindi, più che un’analisi obiettiva mi pare che abbiamo di fronte istituzioni che fanno politica in modo ideologico».

I giudici disapplicano il decreto sui Paesi sicuri. Come se ne esce?
«È un tema fondamentale che incide sulla possibilità di stabilire le condizioni minime per attivare un certo tipo di iniziative. Nel caso dell’Albania ho rispetto della magistratura, perciò aspetterei il pronunciamento della Cassazione. Ma va detto che secondo il pensiero dominante in Europa un Paese terzo sicuro è quello dove in maniera generale e sistematica non avvengono casi di persecuzione o trattamenti disumani. Un concetto, dunque, che può essere esteso anche a quei Paesi verso i quali noi effettuiamo i rimpatri. È un tema molto tecnico».

Cosa intende?
«Noi riusciamo a fare le espulsioni seguendo percorsi più lunghi, mentre a causa dei vari pronunciamenti giudiziari non possiamo farlo più velocemente, con procedure accelerate. Ricordo la polemica quando la premier ha detto che bisogna essere consapevoli delle conseguenze di certe decisioni. Tre o quattro anni per decidere se tu puoi rimanere in Italia sono decisamente troppi».

Manifestazioni ProPal a cadenza settimanale, scioperi ripetuti, Landini che parla di «rivolta sociale». Ai cortei dei centri sociali si inneggia ad Hamas. Siamo in pericolo?
«È sbagliato fare riferimenti agli anni ’70 e ’80. Allora eravamo in una società diversa. C’erano movimenti giovanili più numerosi e problemi sociali differenti. La storia, però, ci propone corsi e ricorsi. Bisogna stare attenti. Parlare di cautela è, dunque, abbastanza appropriato. Per chi ha la responsabilità della tenuta dell’ordine pubblico è evidente che bisogna trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza di moderare i toni e la sacrosanta libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, e perché no anche di criticare il governo. Non voglio credere che alcune espressioni siano delle incitazioni all’odio, ma esiste un piccolo gruppo, molto pericoloso, di persone che vogliono creare un clima di contrapposizione con l’obiettivo che si trasformi in qualcosa di diverso. Il conflitto israeliano-palestinese ha contribuito ad innalzare i toni creando situazioni critiche nella gestione delle manifestazioni. Un conto è criticare legittimamente le posizioni di un governo, altro è creare i presupposti purché i meno avveduti o chi è in malafede riproponga temi che sono stati sconfitti dalla storia come il ritorno dell’antisemitismo».

Le opposizioni sostengono che il nuovo codice della strada è repressivo e inutile. Cosa risponde?
«Il codice della strada è stato riformato facendo tesoro delle esperienze dei casi più recenti. È prevista la repressione di chi si mette alla guida sotto effetto di alcolici o stupefacenti, mi pare sia sacrosanto. Contestarlo contraddice le molte invocazioni alla sicurezza che leggiamo tutte le volte che c’è una tragedia.
Senza dimenticare che ci sono anche altre norme importanti, come quella per porre fine all’anarchia dei monopattini. La penalizzazione dell’uso dello smartphone è un altro esempio lampante di un codice che affronta le novità del nostro tempo».

Cosa ne pensa degli screzi delle ultime settimane tra Lega e Forza Italia, dal canone Rai all’autonomia differenziata fino allo ius scholae?
«Sono testimone del fatto che c’è un’assoluta condivisione. È normale che in una compagine di governo ci siano discussioni, guai se non ci fossero. La democrazia è fatta di visioni diverse e della necessità di comporre una sintesi. È esattamente come ha detto Giorgia Meloni: questo è un governo tra i più stabili della storia repubblicana».

Da tempo circola il suo nome come prossimo candidato del centrodestra alle elezioni regionali in Campania. Scenderà in campo?
«Non sarò candidato in Campania e non sono disponibile ad esserlo. In precedenza ho avuto difficoltà a dirlo con questa nettezza perché questa domanda viene sempre accompagnata da apprezzamenti nei miei confronti che respingere al mittente brutalmente mi sembra supponenza. Gli elogi al mio lavoro credo siano il presupposto perché io resti al Ministero dell’Interno. Per due motivi. Primo: la coalizione di centrodestra ha abbondanti soluzioni sul territorio da proporre.
Secondo: trovarmi al Viminale, seppure fra mille difficoltà, e iniziare a vedere i risultati positivi di ciò che stiamo facendo è il mio obiettivo principale».

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