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Ue, il futuro passa per Meloni e Le Pen: Notre Dames de Paris

Dario Martini
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Se Notre Dame è tornata all’antico splendore, con la cerimonia di ieri sera alla presenza dei capi di stato e di governo, sono due le "Nos Dames" su cui si può ricostruire la nuova Europa: Giorgia Meloni e Marine Le Pen. Emmanuel Macron non si è ancora arreso all’evidenza e continua a restare arroccato all’Eliseo in cerca di un nuovo primo ministro. Ma a dare le carte in Francia è la leader del Rassemblement National. Tutto ruota intorno a lei, tanto che ha già avvertito il presidente: «Non ho le mani legate, posso votare di nuovo una mozione di censura». Come ha fatto notare Matteo Renzi, se «Macron lascia, Le Pen si prende il Paese». La premier italiana, invece, si trova a guidare il governo più forte, e stabile, tra i Paesi di peso dell’Unione europea. Se n’è accorto perfino l’Economist. Il settimanale britannico si domanda se sarà proprio lei «la carta vincente dell’Europa», soprattutto nell’ottica di mediare con Donald Trump, ieri a Parigi con l’inseparabile Elon Musk. Premier e presidente Usa hanno avuto un bilaterale a margine del ricevimento organizzato da Macron.

 

 

«Il fegato dei radical chic si stanno contorcendo», ha commentato ironicamente Matteo Salvini. «Gli europei stanno setacciando i loro ranghi alla ricerca di qualcuno che possa tenere a freno il presidente americano e la signora Meloni ha forse la pretesa più credibile», aggiunge l’Economist, secondo cui Macron «presiede la scena politica più caotica» in Europa e il cancelliere tedesco Olaf Scholz «sarà probabilmente estromesso a febbraio», quando la Germania andrà al voto. Se Le Pen, che non ha mai inciso così nella politica francese come in queste settimane, dovesse riuscire a insediarsi all’Eliseo, spezzando la storica conventio ad excludendum che l’ha sempre fermata al ballottaggio, l’asse politico dell’Europa virerebbe definitivamente a destra. E la nuova maggioranza che si sta formando a Bruxelles si rafforzerebbe ancora di più. Il partito di Marine fa parte del gruppo dei Patrioti, a cui è iscritta anche la Lega. Fratelli d’Italia, invece, è la prima forza politica dell’Ecr, i Conservatori e riformisti europei. Una strategia comune tra questi due gruppi avrebbe profonde conseguenze sulla seconda Commissione guidata da Ursula von der Leyen.

 

 

A partire dai dossier caldi come quello sulla transizione green. Le conseguenze negative di un approccio ultra ideologico si vedono chiaramente nella crisi delle aziende automobilistiche. Nonostante ciò, i Socialisti, che hanno piazzato in Commissione la spagnola Teresa Ribera, contano di portare avanti la linea di Frans Timmermans, il promotore dello stop a diesel e benzina nel 2035. La battaglia per prorogare questa scadenza e mettere in campo una politica diversa, che coniughi transizione e sostenibilità economica, è già iniziata. Le Pen e Meloni su questa materia la vedono allo stesso modo. Prima delle elezioni europee dello scorso giugno, la presidente del Rassemblement si rivolse così a Meloni: «Adesso è il momento di unirsi, se ci riusciamo possiamo diventare il secondo gruppo del Parlamento europeo». I due gruppi, in realtà, possono continuare a marciare separati. Affinché il vento di destra unisca le due sponde dell’Atlantico è sufficiente che condividano le stesse battaglie politiche. Non è solo l’Economist a ritenere che Meloni sia il leader migliore per dialogare con Trump. Anche il Wall Street Journal a metà novembre, in una lunga riflessione firmata da Peter Rough e Daniel Kochis (Center on Europe and Eurasia dell’Hudson Institute) ha elogiato la capacità della premier italiana perché «la sua personalità mescola fascino e grinta in egual misura». E viene ritenuta sicuramente più «affidabile» dell’ungherese Viktor Orban.

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