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Il giudice Patarnello e la mail contro Meloni: non mi pento e mi candido all'Anm

Rita Cavallaro
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Il giudice anti Meloni non si pente e rivendica l'azione politica di una certa magistratura di sinistra che non ci pensa nemmeno di apparire indipendente. E dopo un mese e mezzo dalla pubblicazione dello scoop de Il Tempo, che ha rivelato la mail del giudice della Cassazione che definiva il premier Giorgia Meloni più pericolosa di Silvio Berlusconi, Marco Patarnello rafforza il suo manifesto anti governo in un'intervista a tutto campo sul Corriere della Sera, in cui lancia la sua candidatura alle prossime elezioni per il Comitato direttivo dell'Associazione nazionale magistrati. Alla domanda se sia pentito di quella mail che ha esacerbato lo scontro scaturito dalle posizioni contro il modello Albania, il big di Md Patarnello ha risposto: "Non vedo ragioni di pentimento. Si trattava di uno scritto destinato ai colleghi dell'Anm, ed era un invito ad essere uniti e mettere al centro gli interessi della giustizia e della giurisdizione".

 

 

Un invito, inviato alla mailing list dei magistrati con l'oggetto "Non convalida trattenimenti in Albania", che iniziava con "indubbiamente l’attacco alla giurisdizione non è mai stato così forte, forse neppure ai tempi di Berlusconi. In ogni caso oggi è un attacco molto più pericoloso e insidioso per molte ragioni. Innanzitutto perché Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi non si muove per interessi personali ma per visioni politiche e questo la rende molto più forte. E rende anche molto più pericolosa la sua azione, avendo come obiettivo la riscrittura dell’intera giurisdizione e non semplicemente un salvacondotto". Parole finite nella bufera, che hanno spinto perfino Magistratura Indipendente a prendere le distanze e a sottolineare come nessun presidente del Consiglio possa essere definito pericoloso. Ma Patarnello non arretra e rivendica la pericolosità di Meloni per le toghe rosse: "La maggioranza di governo è riuscita a raccogliere un consenso significativo intorno ad alcune proposte di trasformazione della giustizia, che io considero pericolose per l'assetto costituzionale dei poteri e per le garanzie dei cittadini". Il magistrato precisa che "nel rendere accettabili quelle proposte, una parte importante la gioca il fatto che la presidente del Consiglio non ha ragioni personali, a differenza di altri". Tradotto, Meloni non può essere demolita attraverso la persecuzione giudiziaria, come è avvenuto nei trent'anni di Berlusconi. "Questo impone alla magistratura associata", continua il giudice della corrente di sinistra, "un doppio onore, maggiore rispetto al passato: essere in grado di rivolgersi al Paese, con argomentazioni che rendano chiari gli effetti di quelle iniziative, negativi per i cittadini non per noi".

 

 

Cittadini che, in realtà, si sono già espressi alle urne, quando hanno scelto un governo anche sulla base di un programma che prevede la riforma della giustizia, tanto avversata da quella parte della magistratura che Berlusconi definiva il braccio armato della sinistra. "Ma contestare un programma di governo votato dalla maggioranza dell'elettorato non significa fare opposizione politica", domanda il giornalista Giovanni Bianconi. "In materia di giustizia? No", sottolinea Patarnello. "Io credo nel primato della politica e ho rispetto per la sovranità popolare. Avere il consenso e la maggioranza parlamentare vuol dire avere la legittimazione politica per governare e fare scelte nell'interesse del Paese, ma la democrazia è tale perché chi vince governa, non comanda: sono cose diverse".  Tutto chiaro: per il big di Magistratura Democratica Meloni dovrebbe chiedere il permesso alla toghe rosse prima di fare riforme. Perché "chi ricopre cariche politiche ha anche il dovere di ascoltare le riflessioni e le critiche proposte dal dibattito culturale e istituzionale", precisa il giudice di Cassazione, e "le voci della magistratura associata e dei magistrati sono parte, come quelle dell'avvocatura, e sarebbe un grosso errore se la politica le ignorasse, privandosi del contributo di chi amministra la giustizia". In conclusione: chiamare Patarnello ore pasti.

 

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