Fico il pontiere fra Pd e M5S che sogna il dopo De Luca sulla poltrona della Campania
Educato, gentile, ben vestito, con la barba curata, come si addice ad uno nato a Posillipo. Certo anche ortodosso, anzi il capo degli ortodossi, più grillino di Grillo, dal pedigree ineccepibile: la prima riunione del Meet up a Mergellina nel 2005, e poi le battaglie per l’acqua pubblica e il "salvifico" V-day. Il curriculum perfetto del cittadino portavoce, durante la mitica stagione dell’uno vale uno. La versione ‘colta’ del corregionale Luigi Di Maio, liceo classico all’Umberto I, quello della buona borghesia partenopea, altro che steward al San Paolo. Considerato l’anima che incarna la sinistra del Movimento, l’alternativa a “Dibba”, il ‘'c’aggiafa”è sempre stato, con le debite proporzioni, una sorta di Pietro Ingrao del M5S, e come lui promosso a Presidente della Camera nel 2018, sostanzialmente per isolarlo durante il governo giallo verde di Giuseppe Conte e Matteo Salvini. In qualche modo un anticipatore dei tempi, perché naturalmente la svolta progressista dell’ex presidente del Consiglio (oltre all’abolizione del vincolo del secondo mandato), lo vede tra i più convinti fautori. A tal punto da rompere fragorosamente lo storico sodalizio degli albori, quello spirito ‘francescano’ che lo portò a farsi immortalare su un autobus di linea per recarsi alla Camera, salvo poi prediligere la comodità dell’auto blu. Fatto sta che il "tradimento" del discepolo più fedele, ha amareggiato il suo maestro, che ora gliel’ha giurata.
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In effetti Roberto Fico si è stancato del pensionamento anticipato, e crede che sia tornata l’ora per rimettersi in servizio. Ad esempio alla guida della Regione Campania, alle prese con la complicata successione di Vincenzo De Luca. Il candidato perfetto, il ponte tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, un’apoteosi per l’ex grillino di sinistra. Quasi più vicino al Nazareno del nuovo corso che a Campo Marzio da dove pontifica l’avvocato di Volturara Appula, con il quale non ha mai veramente legato. L’ex presidente della Camera oggi discetta da vera "risorsa" del campo largo, e sulla sua candidatura in Campania rinvia: «a tempi più maturi scelte e decisioni» ribadendo però che «lo schema di coalizione da rafforzare e seguire è quello adottato a Napoli intorno al sindaco Gaetano Manfredi». Una dichiarazione sufficientemente fumosa, tale da giustificare il j’accuse del comico sul carro funebre: «io ti appoggio il candidato Pd alle regionali in Emilia e in Liguria e tu in cambio mi offri la Campania». Roberto Fico comunque al momento è il capofila di un’area del M5S che strizza insistentemente l’occhio al Pd. Non a caso affiancato dall’attuale capogruppo in Senato, peraltro suo coetaneo (50 anni), Stefano Patuanelli, anche lui grillino delle origini.
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Triestino, laurea in ingegneria, già ministro dello Sviluppo Economico (con il Conte due) e dell’Agricoltura (con Draghi), Patuanelli è di fatto il telefono rosso che unisce le diplomazie del Pd e quelle del M5S. Di fatto fu l’artefice del cambio di cavallo di Giuseppe Conte, da Palazzo Madama fu il più lesto a sviluppare l’amo che fu lanciato da Matteo Renzi e Dario Franceschini. O meglio il meno ideologico, il più concreto, e sicuramente il più vicino al Nazareno. Una sintonia che ora, con il collega Francesco Boccia alla guida dei senatori dem, viene definita perfetta, «sembrano dello stesso partito», insinuano maliziosamente i colleghi in Bouvette. L’ex terza carica dello Stato, e l’ex ministro, sono l’avvisaglia di una prossima probabile migrazione. O almeno è quel che pensa uno che li conosce bene, Danilo Toninelli, che ora dice: «Quello di Conte non è più il M5S, è una costola sfigata del PD dove confluirà entro pochi anni per dare posti di rilievo a qualcuno». Insomma il Pd a sei stelle.