secco stop

Pd alla guerra sulle primarie. Stop di Boccia a Bonaccini

Mira Brunello

E dire che nelle intenzioni di colui che lo ha proposto, doveva essere un semplice "placebo". «Siamo il partito delle primarie, penso che sia naturale che il Pd le organizzi alla vigilia delle prossime elezioni politiche per determinare i nostri candidati», parole che Stefano Bonaccini sabato rivolge ai parlamentari della minoranza dem alla prima kermesse pubblica della corrente. Il presidente dell’assemblea nazionale dem conosce perfettamente l’umore delle sue truppe: la sfiducia per il suo ruolo («ha fatto un tacito accordo con il Nazareno») e il vero e proprio terrore per la consapevolezza che Elly Schlein farà le liste per la prossima legislatura. Così il "placebo" all’uopo diventa un "salva-vita": «Abbiamo la possibilità di scampare alla mannaia della segretaria». Calmati in qualche modo i suoi, l’ex governatore dell’Emilia Romagna si è guadagnato però le ire del Pd.

 

  

 

A tambur battente, Elly Schlein chiede al fedelissimo capogruppo in Senato Francesco Boccia di mettere i puntini sulle "i". «Chiedere le primarie per i parlamentari proprio alla segretaria nata dalle ore primarie mi sembra un esercizio superfluo. Piuttosto, mi auguro che chi, in passato, ha votato o sostenuto, dentro e fuori il Parlamento, quella pessima legge elettorale che oggi tutti contestiamo come il Rosatellum che si sommava ad altre amenità spacciate per riformismo, possano mantenere una forte determinazione nello sfidare la destra sul terreno dell'introduzione delle preferenze, così non ci sarà nemmeno bisogno delle primarie per i parlamentari», recita il presidente dei senatori. Una replica durissima, perché ricorda ai colleghi della minoranza la responsabilità di aver votato la legge elettorale, ovvero il Rosatellum, l’ibrido nato dopo la sconfitta al referendum 2016 (e la messa in cantina dell’Italicum) sotto il governo di Paolo Gentiloni. E ripropone il tema delle preferenze, che vorrebbe dire cambiare il sistema elettorale, argomento che non sembra all’ordine del giorno (a dire il vero neanche per il Pd che ha una storica avversione per le preferenze). Il tutto per dire, scordatevi le "primariette" per i parlamentari, non sfuggirete alla "mannaia".

 

 

Lo strumento recuperato da Stefano Bonaccini ha un precedente: Pierluigi Bersani, dopo aver battuto lo sfidante Matteo Renzi alle primarie del 2012, fu costretto ad organizzare anche i gazebo per i candidati al Parlamento, allestiti in fretta e furia a dicembre, in pratica sotto Natale. Lo stratagemma servì perché la componente renziana riuscì a vincere la concorrenza in una ventina di collegi. Il ricordo del passato ha infatti ringalluzzito la minoranza: c’è un modo per sottrarsi alla "scure" del Nazareno. Un’illusione durata meno di 24 ore, la risposta del capogruppo lascia spazio a poche speranze. E la minoranza torna in acqua alta, a confrontarsi su due linee di comportamento divergenti. Da una parte ci sono i più agguerriti: la vice presidente del Parlamento Europeo Pina Picierno («non capisco la posizione del Pd sull’Ucraina»), la sua collega Elisabetta Gualmini, l’ex sindaco di Bergamo Giorgio Gori, la senatrice Simona Malpezzi. Dall’altra gli eterni democristiani: il presidente del Copasir Lorenzo Guerini ed il senatore Alessandro Alfieri. In mezzo il "corpaccione" degli emiliani romagnoli legati a Stefano Bonaccini, e considerati dagli altri, una sorta di quinta colonna di Elly. A dirimere la faccenda delle "primariette" ancora una volta sarà chiamato Dario Franceschini, l’ex ministro della Cultura, che nel frattempo si è trasformato in uno scrittore di discreto successo (con il suo Acqua e Tera edito dalla Nave di Teseo). Quello che è certo è che la segretaria non ha intenzione di concedere nessuna "scappatoia". A Roma alle prossime elezioni politiche, il contributo dell’opposizione non servirà. Se non in dose omeopatica.