il verminaio
Dossier, De Raho e i "silenzi" su Striano. Cantone lo convoca in Procura
La politica ne chiede le dimissioni, lui grida al complotto e la Procura lo convoca per rispondere sul verminaio di Striano & Co. Federico Cafiero De Raho, il pentastellato che era a capo della procura Antimafia all’epoca del dossieraggio, ha chiesto e ottenuto l’accesso agli atti dell’inchiesta depositati in Commissione Antimafia a Palazzo San Macuto e oggi si presenterà davanti al procuratore Raffaele Cantone, per chiarire se, e cosa sa, del sistema ordito dal finanziere Pasquale Striano, autore di innumerevoli intrusioni illecite al sistema analisti da cui ha esfiltrato centinaia di migliaia di documenti riservati su politici di centrodestra, in parte inviati ai giornalisti di Domani e in parte spariti nel nulla. Di quell’attività illecita che si è consumata sotto gli occhi di De Raho, il deputato grillino giura da mesi di non saperne nulla e minaccia querele contro chiunque lo tiri in ballo, sebbene alcuni indizi indichino il contrario. C’era stata una timida riga nella difesa del pm Antonio Laudati, il supervisore del gruppo Sos indagato insieme a Striano e ai giornalisti per accesso abusivo alle banche dati e rivelazione del segreto. Laudati ha garantito di aver delegato le indagini sulle Sos «sotto il pieno controllo del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo», ovvero De Raho.
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Poi le dichiarazioni dell’allora numero due alla Dna, Giovanni Russo, che audito per ben tre volte nella stessa Commissione Antimafia di cui De Raho è vice presidente in evidente conflitto di interessi, ha raccontato di aver cercato di mettere dei paletti per arginare la poca trasparenza degli spioni e che più volte si sarebbe lamentato a voce con De Raho per il mancato adeguamento di Laudati alle regole del gruppo Sos, nonché per le anomalie nel comportamento di Striano, refrattario perfino a indicare le sue presenze. Ma quando dai cassetti di via Giulia, nel corso di un’ispezione voluta dal procuratore Giovanni Melillo, è venuta alla luce una relazione scritta da Russo, quei sospetti su De Raho sono diventati macigni. Perché Russo, audito lo scorso 6 novembre da Cantone, ha confermato di aver informato il capo di una serie di «condotte anomale» e «interferenze» di Striano su altri gruppi di lavoro.
Prima a voce e poi con la relazione, scritta tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, ma non firmata né protocollata, in cui il vice chiedeva a De Raho «l’immediato allontanamento» del finanziere, che avrebbe condotto «un soggettivo improprio modo di intendere il ruolo ricoperto» e avvisava che qualora non fosse stato posto «rimedio a tale situazione» le informazioni «strategiche» e «riservate» della Dna rischiavano «di essere veicolate attraverso canali impropri a un numero di soggetti non noto». Insomma, Russo ha confidato ai pm di essersi accorto che Striano operava nell’illegalità e di averlo detto a De Raho, il quale, anziché arginare il verminaio, avrebbe ignorato la relazione e intimato al sostituto di non firmarla. Tutte bugie, ha tuonato De Raho, che ora avanza l’ipotesi dell’esistenza di un complotto ai suoi danni. Contro la sua versione, e a sostegno di quella di Russa, la Procura ha raccolto la testimonianza di un carabiniere in servizio alla Dna, il quale conferma che il capo fosse stato informato su Striano. E oggi il pentastellato dirà la sua, agli atti.