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Sirianni e Musolino, la carica dei 570 giudici: chi sono i magistrati della petizione

Rita Cavallaro
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Le toghe rosse che difendono i privilegi dei magistrati politicizzati e se la prendono con la stampa se dà le notizie. Come Stefano Musolino, il segretario nazionale di Magistratura Democratica che, dopo lo scoop sul giudice Patarnello, ha definito Il Tempo i bassifondi della comunicazione. E che è finito oggetto di una richiesta disciplinare al Csm per le sue frasi contro l'esecutivo Meloni e la partecipazione come relatore ad un evento dell'associazione «No ponte». Oggi, in difesa di Musolino, la sinistra ha programmato a Reggio Calabria un presidio, perché «il governo ha dichiarato guerra alla giustizia libera e indipendente», scrivono gli organizzatori nel manifesto, e ha messo nel mirino il procuratore. Che, di fatto, fa politica. Musolino sarebbe, «minacciato da una macchina repressiva che vuole asservire la magistratura al potere politico». Una propaganda che difficilmente riuscirà ad attecchire nell’opinione pubblica, visto il crollo della fiducia degli italiani nella magistratura, soprattutto dopo gli scandali che dimostrano che Silvio Berlusconi aveva ragione.

 

 

 

L’ultimo caso è la levata di scudi contro la decisione del Csm che ha bocciato l’operato del giudice Emilio Sirianni, quello di Magistratura democratica «che ovviamente è dalla nostra parte...», diceva l'allora sindaco Mimmo Lucano, oggi eurodeputato di Avs, mentre tentava di salvare il suo modello Riace dalle accuse di illeciti nella gestione dei fondi dell'emergenza migranti. Così tanto «dalla nostra parte» che l'amico giudice si era mosso a difesa del primo cittadino «con i vertici nazionali della Magistratura Democratica, voglio parlare di questa situazione e poi ti faccio sapere... voglio cercare di fare in modo che Magistratura Democratica prenda una posizione», assicurava Sirianni, che oltre a un comunicato della corrente di sinistra a supporto del sindaco aveva contattato la stampa per influire sull'opinione pubblica. Un comportamento che il Csm ha bocciato nel giugno scorso, deliberando il mancato superamento della valutazione di professionalità. E ben 570 togati, la maggior parte di Md, ha firmato un appello a sostegno di Sirianni e «per il libero pensiero dei magistrati», in cui hanno manifestato il «forte dissenso» per la delibera, oltre alla preoccupazione per l’indipendenza della giurisdizione, soprattutto alla luce delle «modifiche costituzionali in corso di approvazione». Tra i firmatari del documento di solidarietà per l’amico di Lucano, che si conclude con la chiamata alla mobilitazione «per la difesa dello stato di diritto», c'è ovviamente Musolino.

 

 

 

Poi la presidente di Md, Silvia Albano, la giudice che ha bocciato il modello Albania. Non può mancare la firma di Iolanda Apostolico, la paladina contro i porti chiusi che si è distinta per la bocciatura di una serie di trattenimenti di migranti, e la collega del tribunale di Catania che la difese, Marisa Acagnino. Sempre dalla procura etnea arriva il pm Fabio Regolo, che in piena campagna elettorale per le Regionali siciliane arrestò la candidata di Fratelli d’Italia, l’ex assessore Barbara Mirabella, e dopo un anno fu costretto a chiederne l’archiviazione per totale mancanza di corruzione. Altra firma celebre da Catania quella di Sebastiano Mignemi, finito davanti al Csm per aver dato del «fascista» sui social al ministro Nello Musumeci, mentre in un altro post paragonava l’attività del governo a quella di un truffatore che in stazione fa il gioco delle tre carte. Tra gli altri, infine, la presidente del Tribunale di Bologna, Valentina Tecilla, che assolse con formula dubitativa un immigrato nordafricano a processo per aver violentato una 17enne bolognese, dopo averla trascinata in un vagone abbandonato della stazione. Per il marocchino l'accusa aveva chiesto 6 anni, ma la difesa sostenne che l'imputato «proviene da un humus culturale scadente, ha pensato di trovarsi davanti una ragazza "facile"». D'altronde la minorenne era ubriaca e drogata e non si è resa conto di ciò che faceva. Una circostanza, questa, che avrebbe dovuto rappresentare un’aggravante. Invece l’immigrato è rimasto libero. Nel nostro Paese sicuro.

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