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FdI "del 2024 non è quella del passato. La fiamma non porta voti": intervista a Maestri

Edoardo Sirignano
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«Fratelli d’Italia del 2024 non è quello del 2013. Avrebbe senso, dunque, un’immagine diversa. Non dimentichiamo che Meloni è stata votata, dal 2022 in poi, da persone che non hanno mai votato Msi o An, ma hanno altre idee. Ecco perché continuare, con questa tradizione, a parte per qualche nostalgico, può non portare consenso». A dirlo è Gabriele Maestri, costituzionalista e tra i maggiori esperti nazionali di simboli, nonché curatore del portale «I simboli della discordia».

È una scelta vincente togliere la fiamma dal simbolo di FdI?

«Dipende da cosa si vuole ottenere. Non dimentichiamo, però, che Fratelli d’Italia nasce senza fiamma. Alla fine del 2012 l’unico segno grafico era il cordino tricolore, quello che aveva segnato il passaggio di Alleanza Nazionale nel Popolo delle Libertà. La fiamma arriva soltanto alla fine del 2013».

Tale scelta, allora, fu largamente condivisa?

«In quell'area politica no. Come testimoniano gli articoli de “Il Tempo”, ci fu una votazione piuttosto discussa e combattuta nella Fondazione An. Il simbolo era stato richiesto da altri gruppi. Alla fine, però, il voto lo assegnò a Fdi. Si era, infatti, ritenuto di non lasciare ad altri gruppi minoritari una continuità non giuridica, ma politico-ideale, con la storia del Msi e di An. Ecco perché quel simbolo, pure se ha cambiato più volte forma e dimensioni, è rimasto sino a ora».

Adesso ha lo stesso valore di quando è stato per la prima volta introdotto?

«I simboli, senza ombra di dubbio, sono legati alle persone che li pensano e li portano. Chi votava la fiamma dieci anni fa non è la stessa persona di adesso. L’ha riempita di altri contenuti, più o meno distanti. Mi riferisco agli stessi leader, che prima di diventare tali erano militanti. Adesso hanno un’esperienza diversa. Vivono in un mondo nuovo e ne tengono conto».

Stiamo parlando, comunque, di uno dei pochi legami con la Prima Repubblica...

«Lo scudocrociato, rispetto ai tempi della Dc, è qualcosa di molto piccolo e conteso. Il garofano, nella forma storica, invece, non c’è più. Falce e martello non è rappresentata da anni in Parlamento. Superstite è Alberto da Giussano, uno degli ultimi simboli storici, anche se non dei primissimi. La fiamma nasce nel 1947. Ecco perché possiamo tranquillamente dire che è tra gli ultimi simboli storici».

C’è qualcuno che guarda con favore a un ritorno al passato?

«Se, talvolta, sopravvivono determinati simboli è perché chi si è riconosciuto allora, vorrebbe farlo ancora. Altrimenti non si spiegherebbe il tentativo di lottare per un logo di quaranta anni fa. C’è chi spera che, con questa strategia, uno zoccolo duro di affezionati si possa mantenere o recuperare. Stiamo parlando, però, di un processo difficile e non automatico».

Quale potrebbe essere l’alternativa alla fiamma per FdI?

«Ora Meloni è anche leader dei conservatori-riformisti europei, quelli che vengono rappresentati con un leone accovacciato. Questo animale, d’altronde, era già stato utilizzato, venetisti a parte, dal neo-commissario Fitto. Non escludo, quindi, che possa essere riutilizzato, così come potrebbero essere adottate altre soluzioni, visto che i simboli tendono a sparire».

Una bella notizia?

«A mio parere, no. È sempre intrigante quando si cerca di raffigurare un qualcosa in un’immagine. Adesso lo si fa meno di prima». Qualche movimento, pensiamo alle sardine, ci ha provato ancora... «Diversi i tentativi a riguardo, ma di solito non finiscono sulla scheda. Ci siamo, piuttosto, abituati a dei marchi. Questa, d’altronde, è una tendenza che si sviluppa dalla seconda metà degli anni Novanta». 

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