Migranti, la giudice del caso Albania e il post al veleno su Meloni e figlia
Dal giudice anti Cav alla toga rossa che odia «quel vocione rabbioso» di Giorgia Meloni. Perché la politica contro il governo si fa a colpi di ordinanze, lo strumento che la magistratura mette in campo per colpire i nemici politici, in primis la presidente del Consiglio. Quella che per il giudice della Cassazione, Marco Patarnello, è più pericolosa di Silvio Berlusconi, visto che non si muove per un salvacondotto ma per una visione politica che non piace ai giudici militanti. E ora spunta tra le chat lo screenshot di uno stato whatsapp di Antonella Marrone, la toga di ex Magistratura Democratica passata alla corrente di sinistra AreaDg che ieri ha firmato alcuni dei provvedimenti di sospensione del trattenimento dei migranti in Albania. Marrone attaccava Meloni prima ancora che vincesse le elezioni, nel pieno della campagna elettorale.
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Il 12 settembre 2022, infatti, la leader di Fratelli d’Italia aveva pubblicato una foto cult sui social, mentre accompagnava la figlia Ginevra a scuola. «Eccoti, con la tua cartella enorme, ad affrontare il primo giorno delle elementari. Ci teniamo mano nella mano, mentre andiamo incontro alle nostre sfide più difficili», scriveva Meloni. «Ricorda quello che ti ho detto», proseguiva la mamma d’Italia, «non sarà la rabbia a darti la forza di andare avanti né l’ambizione o l’ego e l’invidia. Solo l’amore può darti l’energia che serve a non abbassare mai la testa, a non smarrirti, a non preferire le scorciatoie. Fallo con amore e non ti fermerà nessuno. Buon viaggio, amore mio». Parole dolci, che non sono bastate a contenere l'avversione della giudice pro migranti per Meloni. «Ah, non sono la rabbia, l’ego, l'ambizione e l’invidia a muoverla?», scriveva Marrone commentando la foto. «Sentendola parlare con quel vocione rabbioso», rincarava, «mi sembrava l’opposto ma mi sarò sbagliata...».
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E se Marrone è anti Meloni, la sua collega Damiana Colla è anti Cav. L’altra firmataria della sospensione è salita alla ribalta delle cronache quando, nell’aprile del 2021, emise alcune sentenze a favore di Massimo Fini, Marco Travaglio, Peter Gomez e Il Fatto Quotidiano, pronunciandosi contro Silvio Berlusconi. La Colla aveva stabilito che non era diffamatorio definire il compianto leader di Forza Italia «delinquente», né chiamarlo «terrorista, malavitoso, pregiudicato» e neppure scrivere che «ha gettato una minorenne nelle braccia di una puttana», o che è «sospettato di aver cominciato la sua carriera di imprenditore grazie ai soldi della mafia». Senza contare la lunga scia di pronunce pro clandestini: ha disposto un maxi risarcimento per un migrante della rotta balcanica, ha dato ragione a una straniera «danneggiata» dalle lunghe file davanti all’ufficio per la richiesta di protezione internazionale e concesso un visto eccezionale a un afghano e a tutta la sua famiglia.