Trump spacca l'asse M5S-Pd. Ecco come Conte & co. provano a sganciarsi da Schlein
Mancava solo il ciclone «Trump» a tormentare il campo largo. Soprattutto sul fronte già traballante dei rapporti tra il Pd ed il M5S. Già perché sull’elezione del 47esimo presidente degli Stati Uniti si è consumata l’ennesima rottura tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein. Il leader del M5S, anche durante la campagna elettorale, decidendo di non schierarsi per Kamala Harris, aveva creato non pochi problemi agli alleati. Con Matteo Renzi che ne approfittò per mettere in discussione la sua vocazione progressista. Una frattura che si è approfondita nei giorni scorsi con i giudizi tutto sommato lusinghieri che l’ex Presidente del Consiglio ha dato sul tycoon. «Ha saputo intercettare le esigenze delle persone», secondo la vicepresidente del Senato la 5 stelle Mariolina Castellone, mentre per la deputata dem Lia Quartapelle «saranno quattro anni molto duri». Valutazioni opposte, sintomo di un’altra profonda divisione. «A che gioco sta giocando l’avvocato?», si sono chiesti allarmati al Nazareno.
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E dire che la tensione era già sufficientemente alta per i commenti liquidatori espressi dalla ex sindaca di Torino Chiara Appendino. Che aveva messo nero su bianca il mantra in voga a Campo Marzio. Ovvero no ad alleanze strutturali con il Pd, vinciamo dove abbiamo i nostri candidati (come in Sardegna con Alessandra Todde), Andrea Orlando non era il nome giusto per la Liguria. In più c’è «Nova» in arrivo, la costituente convocata per il 23-24 novembre, al Palazzo dei Congressi di Roma. Che potrebbe consegnare alla storia (o a Beppe Grillo) nome e simbolo del M5S per lanciare definitivamente quello che sarà comunque il partito di Giuseppe Conte. E dove i militanti dovranno contarsi su varie opzioni sul tema alleanze. Attestarsi definitivamente sul fronte progressista, a Bruxelles i pentastellati sono nel gruppo The Left insieme alla Sinistra Italiana, o evitare collocazioni strutturali. La differenza alla fine la farà sempre il leader (Giuseppe Conte) che continuerà a muoversi a zig zag. Anche perché l’avvocato ha capito che un rapporto troppo stretto con il Pd rischia in termine di voti di depauperarlo.
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In più ci sono i «test» sul campo, in Liguria Conte e Schlein si evitarono per tutta la campagna elettorale, salvo poi ritrovarsi l’ultimo giorno sullo stesso palco. Stessa musica in Umbria, dove i due leader continuano ad ignorarsi. Rispetto a Genova, qui ci sono candidati renziani, ma in una lista civica della «Presidente», non dovrebbero impensierirlo troppo. Eppure Giuseppe Conte mantiene le distanze, nonostante che un’altra sconfitta del campo largo, alla vigilia della «rivoluzione» pentastellata, non sia il massimo. Caso o strategia allora? O forse ha già risposto nei giorni scorsi Chiara Appendino. La vicepresidente pentastellata spiegò: «Non è il momento di un’alleanza strutturale» con i dem, perché prima «dobbiamo ritrovare un'identità e una visione, essere più netti e radicali nelle proposte, darci nuove battaglie identitarie». Per non «apparire subalterni rispetto al Pd, come talvolta è sembrato». Insomma a zig zag anche con un nome nuovo ed un altro simbolo, non una splendida notizia per Elly Schlein, che alla fine rischia di ballare da sola. Come accadde al suo predecessore, Enrico Letta.
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