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Renzi con De Luca, guerra a Schlein e Sala. Lo sceriffo diventa “l'alfiere delle riforme”

Mira Brunello
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I birilli stanno cadendo al momento giusto. L’ultimo passaggio, forse quello più difficile, riguarda la precisione del tiro: bisogna «stregare» la palla. E sperare in un pizzico di fortuna, per fare strike. Quella che di solito assiste Matteo Renzi, alle prese con una nuova possibile svolta, solo qualche mese dopo la partita disputata all’Aquila, il fortunoso passaggio smarcante ad Elly Schlein e quel goal annullato sul filo del fuorigioco. Mal di poco perché comunque la notizia ha fatto titolo per mesi, «Renzi a sorpresa nel campo largo». Poi irrompe la realtà e la storia con la segretaria del Pd arriva ai titoli di coda, come le avventure estive che sfioriscono in autunno, troppo complicato il corteggiamento anche per un seduttore seriale come l’ex rottamatore. Sulla sua strada, il fiorentino ha trovato una serie di preziose combinazioni, anche il caso gioca la sua parte: la sconfitta millimetrica di Andrea Orlando, la consunzione della teoria dell’autosufficienza, lo spaesamento dei «compagni». E soprattutto la Campania, la piazza «ideale» per il leader di Italia Viva, l’incrocio che serviva. Quello che gli fa riscoprire una vecchia conoscenza: Vincenzo De Luca, definito ieri «uno straordinario alfiere del riformismo, anche a livello nazionale».

 

 

«Per tenere alta la bandiera del riformismo ci vuole uno che di politica ne capisce. E De Luca di politica ne capisce», dice Renzi. Insomma, l’amore è scoppiato. La convergenza di interessi con il Governatore è impressionante: entrambi muoiono dalla voglia di dare una lezione politica ad Elly Schlein, entrambi devono reagire, dopo i sonori rifiuti che hanno ricevuto. Ed allora perché non farlo insieme? Come una compagnia di giro di vecchi «marpioni»: l’antico mestiere dello sceriffo di Salerno, e la furbizia un po’ levantina del fiorentino. Altro che l’algido Giuseppe Sala o l’inquieto Carlo Calenda: «il terzo polo lo rimettiamo in piedi noi». Insomma la Margherita del futuro, ma non stiano troppo tranquilli gli alleati, perché i due Gian Burrasca non daranno certezze, e d’altra parte un po’ come Giuseppe Conte, rifiutano l’idea di alleanze strutturali. Di centrosinistra si, ma senza essere scontati, ogni alleanza avrà il suo prezzo, «non saremo lo "scendiletto" di Bonelli e Fratoianni».

 

 

La miscela ce la mette il Presidente campano con il suo network al Sud, l’abilità manovriera Renzi, poi servirà una spruzzata di «cattolici» e qualche terzo polista in servizio permanente, uno scheletro a cui il senatore lavorava già per le Europee, prima di stringere un’intesa con Emma Bonino. L’importante è sfiancare il sindaco di Milano, mandare a sbattere Goffredo Bettini, inviare un segnale inequivocabile all’ingrata del Nazareno: la «Margherita» è «roba» nostra, evitate di metterci mano. Due prove generali nel 2025: una in Campania con le liste civiche dello «Sceriffo», fuori dal campo largo, l’altra in Toscana a sostegno di Eugenio Giani, con il campo largo ma a precise condizioni. L’ex presidente del Consiglio, come al solito, azzarda: un terzo polo così modellato può puntare alla doppia cifra. Prima del battesimo elettorale, ha davanti però una sfida ancora più impegnativa: condividere la leadership con un altro fumantino ovvero Vincenzo De Luca, «lo straordinario alfiere del riformismo». Sono già aperte le scommesse: finirà come con Carlo Calenda?

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