Tornano le toghe rosse, altra sentenza contro il governo: liberi 5 clandestini
Prima c’è stato il giudice di Bologna che ha chiesto alla corte di giustizia europea di poter disapplicare il decreto sui Paesi sicuri emanato dal governo lo scorso 23 ottobre. Ieri, il nuovo colpo di scena. Altri tre magistrati del tribunale di Catania si sono spinti oltre, respingendo proprio le nuove norme introdotte dell’esecutivo due settimane fa. Il presidente della prima sezione civile Massimo Escher e i giudici Rosario Cupri e Stefania Muratore hanno firmato i provvedimenti collegiali con cui non hanno convalidato i trattenimenti di tre egiziani e due bengalesi sbarcati a Pozzallo. Secondo loro l’Egitto non è sicuro, poca importa che l’esecutivo lo abbia inserito nella nuova e aggiornata lista degli Stati dove poter rimpatriare i clandestini.
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È la prima volta che i magistrati si rifiutano di applicare questo decreto. Era già successo con la giudice Silvia Albano di Roma che fece tornare in Italia dodici migranti appena portati nei nuovi centri in Albania. La differenza, allora, era che la lista dei Paesi sicuri era contenuta in un decreto interministeriale, norma di rango secondario. Motivo per cui il tribunale di Roma ritenne di non tenerne conto, facendo prevalere l’interpretazione di un sentenza della Corte di giustizia europea. Interpretazione che secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio era comunque errata. Proprio al rispetto di questa sentenza si sono appellati ieri i giudici di Catania, secondo i quali «le sentenze interpretative della Corte di giustizia europea vincolano il giudice nazionale».
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Il presidente Escher scrive che «in Egitto esistono gravi violazioni di diritti umani che, in contrasto con il diritto europeo citato, persistono in maniera generale e costante e investono non soltanto ampie e indefinite categorie di persone (come dimostra l’inserimento tra le eccezioni della categoria dei "difensori dei diritti umani", che individua l’esistenza di violazioni dei diritti di soggetti che agiscono per la stessa tutela dei diritti dell’uomo) ma anche il nucleo delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico e che dovrebbero costituire la cornice di riferimento in sui ci inserisce la nozione di Paese sicuro secondo la direttiva europea».
Il governo, comunque, tira dritto. Anche perché la nave Libra della Marina Militare proprio in questi giorni è pronta a portare altri migranti negli hotspot in Albania. Probabilmente già domani o giovedì. Il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini tuona: «Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi, il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo».
Chiaro riferimento a quanto avviene ogni giorno nelle città italiane o vicino alle stazioni. Come è accaduto ad esempio ieri, con il capo treno accoltellato da un 21enne egiziano in compagnia di una ragazza di origini nordafricane. La Lega fa notare un altro controsenso della sentenza di Catania: «Per il Pd e le toghe rosse l’Egitto è sicuro per i turisti ma non per i clandestini». Infatti, basti pensare che nel 2023 ha segnato un numero record di visitatori: 14,9 milioni, di cui 850mila solo dall’Italia.
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Lo scontro è totale, tanto che ieri il Tribunale di Roma è tornato di nuovo in azione, ha accolto la richiesta di uno dei primi 12 migranti che erano stati portati nei Cpr in Albania contro la commissione territoriale che ha rigetto la richiesta d’asilo. I giudici hanno rinviato la decisione sul decreto Paesi sicuri alla Corte di giustizia europea, come ha fatto anche il giudice di Bologna.
Per il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, «continua l’uso politico della giustizia», mentre per il presidente dei deputati di FdI, Tommaso Foti, «spetta allo Stato individuare i Paesi sicuri». Festeggia, invece, l’opposizione. Il verde Angelo Bonelli si spinge addirittura a sostenere che «politici fascisti calpestano lo stato di diritto». Stessa lettura dal Pd, con il vicepresidente dei senatori Dem Antonio Nicita secondo il quale quella del Tribunale di Catania «è una lezione di diritto al governo».