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Futurismo, tutti in fissa. Spunta pure il murales di protesta

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Michele Sabelloni
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I radical chic non si dispiacciano troppo ma se una mostra ad un mese dall’apertura diventa il tema di un’opera di street art allora quella mostra ha già vinto la sua sfida ed è entrata nell’immaginario popolare. Prendono spunto infatti dalla mostra «Il Tempo del Futurismo», che si inaugurerà alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma il 2 dicembre, i murales realizzati dallo street artist Harry Greb e comparsi nella notte di Halloween quasi di fronte al Palazzo delle Esposizioni, in via Nazionale. In quello più grande, al centro, compare il ministro della Cultura Alessandro Giuli mentre abbraccia sorridente la Creatura (o Mostro) di un film ormai mitico come «Frankenstein Jr» di Mel Brooks, di cui ricorrono i cinquant’anni dall’uscita al cinema. E poiché nel film la Creatura si spaventava per il fuoco, dietro le due figure è dipinto un fiammeggiante fondo a colori vivaci mentre in alto appare la scritta FUTURISMO sovrapposta graficamente alla scritta FASCISMO, secondo un vecchissimo e ormai superato luogo comune che qualcuno dovrà un giorno pur spiegare al giovane street artist.

 

 

 

In un trittico ideale, a destra la Creatura in persona solleva una divertita Giorgia Meloni come se fosse una bambina e con indosso un vestito coloratissimo con la scritta Futurismo. A sinistra ecco l’ex ministro Gennaro Sangiuliano ritratto nelle vesti del mitico Igor, l’imprevedibile ed esilarante aiutante gobbo del Dr. Frankenstein reso immortale dall’interpretazione di Marty Feldman. Sangiuliano/Igor sta mostrando ai passanti i famosi biglietti del treno esibiti al TG1 per dimostrare che non erano stati spesi soldi pubblici nel famigerato caso Boccia. Harry Greb ha da poco superato i quarant’anni e ha realizzato il suo primo murale a Roma un anno fa raffigurando la stretta di mano fra Trump e Putin e poi ritraendo Papa Francesco nei panni di Kill Bill.

 

 

Lo stile non è male, anche se non sono veri e propri murales ma una specie di poster elaborati al computer, stampati, lavorati con i pennelli, ad acrilico o spray. A Marinetti e ai futuristi tutto questo gran baccano e tutta la pubblicità gratuita intorno alla mostra sarebbero piaciuti un sacco e si sarebbero divertiti pregustando un successo inevitabile. E un’opera come questa sarebbe stata graditissima (anche se allora la street art non esisteva) perché nasce fuori dai musei, dalle biblioteche e dalle accademie, proprio come volevano i futuristi, lontano da quei parrucconi ipocriti, polverosi e impolverati che in questi giorni sbraitano e schiumano contro la mostra finendo però col trasformare il genio di Boccioni in un caso Boccia 2.

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